14 lug 2016

Pioverà nel deserto

Non faccio mai post “impegnati”.
Di solito parlo di letteratura, di libri, di poesie. Parlo di Giappone.
Oggi invece voglio rubare un po’ di spazio nel mio blog e dire quel che non dico mai, non tanto perché non abbia un’opinione: è che quando la espongo mi infiammo; penso che per sentirsi autorizzati a dire apertamente cosa si pensa riguardo alle faccende importanti, si debba essere sicuri di essere almeno informati sulla realtà dei fatti, cosa che io non faccio per pigrizia e sì, anche per comodità a volte.

Davanti alle stragi, alle morti, alle ingiustizie provo, più che rabbia cieca, una sorta di repulsione. Tipo i terroristi, i violenti, i maschilisti, gli omofobi, gli ignoranti e certi politici… mi fanno vomitare. Quando succede qualcosa cerco di non pensarci perché sono troppo debole per supportare sulle spalle il dolore della gente. Non sono empatica, non voglio esserlo.

Mi dico sempre che un giorno cambierò il mondo, che il mio messaggio scuoterà i poli della terra, che il mio progetto ci ridarà speranza: il fatto è che questo progetto non esiste e il tempo scorre. Voglio inventare un cerotto miracoloso che risani una ferita gigantesca e aperta, e nel frattempo lascio che il sangue scorra. Ci sono dei momenti in cui la mia debolezza davanti al dolore del mondo mi dà le vertigini.

Però è successo un fatto. Un’ennesima morte che stavolta non sono riuscita a evitare: ci sono inciampata, sono caduta e mi ci sono sbucciata le ginocchia.
Lui è F., una vittima dell’incidente ferroviario in Puglia.
Era appena rientrato dall’anno in Giappone, lo stesso da cui io sono tornata due anni fa. Lo sento vicino perché quell’anno all’estero – lo sa bene chi lo ha fatto – non è una parentesi. Non è un’”esperienza”. Non è “solo un anno”.
Quell’anno all’estero è l’inizio di tutto.

Tra le tante storie di vite strappate che sentiamo ogni giorno questa mi ha fatto particolarmente male. In Giappone ho capito cosa significasse vivere: è stata dura, sentirsi così felice e triste, forte, fortissima a volte, sola contro il mondo. Ogni emozione ti investe con il triplo dell’intensità, ogni problema ti si para davanti con l’insormontabilità di un monte e ogni soluzione te la devi sudare, la devi tirare fuori da dentro di te, superando a volte le tue paure e i tuoi difetti. Oltre a essere stato l’anno più bello e significativo della mia vita, è stata la migliore palestra per il carattere e per l’anima.
L’anno all’estero è una chiave di volta in cui realizzi che la vera ricchezza del mondo non è la forza che tenevi nascosta dentro, ma tutto ciò che è diverso da te e che ti ha costretto (o meglio, aiutato) a tirarla fuori. La diversità è la ricchezza del mondo. La saggezza accumulata in millenni di storia di popoli diversi, le esperienza delle persone, l’arte, la cucina… le religioni! Questa è la ricchezza del mondo.
Questo è ciò che ha fatto tornare a casa me, F. e tanti, tantissimi ragazzi di tutto il mondo come persone nuove, forti, aperte e tolleranti. Noi siamo i nuovi cittadini del mondo e abbiamo un messaggio positivo da trasmettere.
Abbiamo una missione.
E sapere che F. è tornato a casa pronto per questa missione, oltre che con una vita intera davanti, mi ha scossa profondamente. Era solo all’inizio di un’esistenza nuova e consapevole.
Ma la verità è che tutti noi su questa terra abbiamo una missione e che troppo sangue innocente viene versato. Il Cielo non ne può più di sentire i lamenti strazianti di chi soffre sulla terra e non viene ascoltato.
Questa vicenda mi ricorda che la missione di F. è anche la mia.

Gli esseri umani non sono tutti uguali, e chi si ostina a dirlo è persino più patetico di chi delle nostre differenze fa una classifica e decide chi secondo lui è meglio o peggio.
Siamo diversi, ognuno di noi, e non c’è categoria che tenga davanti alla nostra unicità: provate a mettere in fila cento bambini – per comodità diciamo che sono maschi. Vi sembrerebbero tutti uguali? Facciamo anche che hanno tutti e cento i capelli castani, sono tutti alti un metro e trenta e hanno tutti gli occhi verdi. Non saranno mai comunque tutti uguali: i loro gusti di gelato preferiti saranno diversi, i loro giochi più amati anche, qualcuno tra loro vorrà fare il dottore, qualcun altro l’insegnante.
QUESTO E’ BELLO.
 E’ miracoloso, oserei dire. La vastità di combinazioni che la nostra specie ha creato, i nostri passati e le nostre usanze sono un dono.

Non so se questo post è stato più uno sfogo che un “esprimere la propria opinione”. Come avevo anticipato, mi scaldo facilmente.

Forse era meglio quando recensivo libri e scrivevo poesie che nessuno legge. Forse sarebbe meglio se invece che scrivere iniziassi a pensarci seriamente, a questo progetto rivoluzionario.
Insieme siamo più forti dei mali del modo. Ci stanno mettendo alla prova.
Serve un miracolo e quel miracolo possiamo essere noi: pioverà nel deserto, pioverà così tanto che ci crescerà una foresta.


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