26 gen 2016

Di nuovo (ma ho mai smesso?) cercando di baciare la pioggia - racconto breve

La solitudine puó essere piacevole.Ti dà quella scarica di adrenalina che ti permette di affrontare sfide che non avresti mai immaginato. La solitudine ti permette di compiacerti delle tue conquiste.La solitudine mi ha permesso di crescere, di uscire dal bozzolo, di lanciarmi in un vuoto dopo l'altro.Ma oggi che non riesco a dormire, la solitudine mi sta schiacciando contro il mio futon e non mi lascia respirare.Vorrei abbracciare qualcuno. Qualsiasi persona. Basta che mi voglia bene.Vorrei riuscire a dormire per non pensare a tante cose.Quest'anno mi ha dato tantissime gioie e soddisfazioni, ma mi ha aperto anche delle ferite che fanno un po' male.E dopo 8 mesi in cui sono cambiata cosí tanto, ci sono volte in cui vengo messa di fronte all'evidenza del fatto che ancora non basta. Che é solo l'inizio della trasformazione.Ci sono volte in cui le sfide più belle sono anche le più impossibili da realizzare, e ci si ritrova con in mano un pugno di sabbia che scivola via non appena allentiamo la presa.Ho provato a baciare la pioggia.
Sono stata così tanto sotto quel temporale cercando di baciare una cosa così inafferrabile come la pioggia, come se la si potesse cristallizzare a mezz'aria.Non sono pazza. Tutti prima o poi cercano di baciare la pioggia.E tutti prima o poi si ritrovano completamente bagnati, con gli occhi che bruciano e gli abiti attaccati addosso, i capelli appiccicati alle guance.
E siamo così fradici e infreddoliti che neanche abbiamo il coraggio di muoverci.Quanto ci rimarrò, sotto questa pioggia, prima di decidermi a rientrare in casa e liberarmi faticosamente degli abiti zuppi e asciugarmi la faccia?Un exchange è un po' anche questo. Essere tristi mentre si è felici, soli circondati da persone, bambini che si comportano da adulti.È andare avanti spavaldi avendo paura di cadere ad ogni passo.Innamorarsi della pioggia.
Eccomi qui. È passato più di un anno e mezzo da questo famoso post del mio blog. Un anno e mezzo è poco agli occhi di chi ha già vissuto a lungo, ma a me sembra che quelle parole siano state rievocate da un abisso dimenticato.
In fondo è successo così tanto... Ne ho fatte di cose.
Trovo pateticamente ironico il fatto che però niente di ciò che ho fatto mi abbia reso una persona più saggia, anzi, mi pare che anche i progressi e le conquiste di cui mi sentivo forte quando sono tornata in Italia siano svaniti, soffocati, morti sotto strati di incertezza per un futuro minacciosamente triste.
Sono tuttora innamorata della pioggia, e al solo pensiero sento le lacrime pungermi gli occhi. Non ha senso che io mi trovi ancora qui, sotto il temporale, ancor più fradicia... Ancor più pietosamente infreddolita.

Sono giunta alla conclusione - e lo ammetto letteralmete con gli occhi pieni di lacrime - che noi esseri umani passiamo la vita a cercare di entrare in possesso di cose così inafferrabili che a malapena riusciamo a sfiorarle. E contro ogni logica ci illudiamo che se fossimo stati più bravi - più pronti - non ce le saremmo lasciate sfuggire dalle dita così facilmente. Ci arrabbiamo con noi stessi, ci arrovelliamo fra i sensi di colpa quando in realtà l’infelicità umana è semplicemente scritta nel destino e prima o poi ci inciampiamo tutti.
In secondo luogo, il trovarmi nuovamente qui sotto la pioggia è doppiamente una follia perché impedisco ad altre persone di godere della felicità che meritano. Il ragazzo innamorato di me e disposto a qualsiasi sacrificio pur di vedermi sorridere, ad esempio, viene lasciato affinché io goda appieno di quest’egoismo cieco e masochista che mi spinge a perseguire la via dell’insoddisfazione. Suppongo che al dolore della separazione ora si sia aggiunto quello di vedermi così stoicamente ancorata alle mie sofferenze che, tutto sommato, se paragonate alle sue forse sono anche più lievi e sopportabili.

Il confine tra piacere e dolore si fa sempre più labile e sottile. La mia giovinezza si conclude con un inquietante presagio di follia e a volte mi domando se sono destinata a finire come i grandi scrittori del passato... Come il maestro.
Di certo non sarò mai brava come loro.

Non so perché più di ogni altra cosa, io associ a te la pioggia e il cielo nuvoloso. In realtà ci sono mille altre cose che mi ricordano in continuazione la tua figura, ma effettivamente nei tuoi occhi si agitano le tempeste e i temporali primaverili, e credo che nessun sole estivo riuscirebbe a riportarvi il sereno.
Congeli il presagio della bufera dietro a un’impassibile calma, come le nubi grige e dense, aggrappate al cielo per miracolo, che a giugno fanno a gara a trattenere la pioggia.
Mi torna in mente quella volta del tifone: era settembre, e io ero appena arrivata.
Parlavo male e tutto mi era nuovo,ma non conoscevo ancora il dolore e l’angoscia che mi avrebbero segnata in seguito. Ero felice - felice come mai sono stata.
Non so se allora già ti amavo, ma se ti ricordo così bene forse sì. Io mi ero comprata uno stupido ombrellino rosa ripiegabile perché in Italia gli ombrelli lunghi sono considerati un po’ sfigati per andare a scuola e perché quell’ombrello era davvero carino, rosa con i fiorellini di ciliegio. Non avevo calcolato che i rimasugli del tifone dei giorni precedenti lo avrebbero facilmente spezzato.
Uscii di casa a Mikuni indossando la divisa bianca della scuola - quella estiva, che ci faceva assomigliare tutte a delle infermiere - e avevo aperto l’ombrellino rosa. Il tempo di arrivare alla stazione a prendere il treno delle sette e sedici e le sottili stecche di metallo dell’ombrello si erano già tutte spezzate e io mi ero già bagnata.
In treno avevo osservato l’ombrello chiuso e grondante, fra i miei piedi, con gli angoli storti e tristemente accasciati sul linoleum giallino. Una volta scesa alla stazione della linea Hankyu di Ashiya mi ero lasciata trasportare dalla fiumana di studenti: reggevo disperatamente i lembi penzolanti dell’ombrello cercando di ripararmi ma una mano non bastava, ed ecco allora che trattenendo il manico dell’ombrello nell’incavo del collo ripetevo l’operazione con entrambe le mani. Ma neanche due mani sembravano sufficienti: il vento tormentava le asticelle dell’ombrello, il manico scivolava dall’incavo del collo, la pioggia mi bagnava il viso e mi arricciava i capelli, la fumana mi trascinava oltre il ponte senza notare le mie difficoltà.
Arrivata a mettermi in fila per aspettare lo scuolabus, l’ombrello era irrecuperabilmente devastato e io mi ero tramutata in un o straccio fradicio; fu proprio allora che iniziò a piovere ancora più forte.
Tu eri lì, in fila accanto a me: guardavi davanti a te, protetto dal tuo grande ombrello nero. Tutt’altro che ignaro della mia condizione, osservavi con discrezione la lezione che la vita mi stava impartendo.
In quel momento, mentre la pioggia fredda si inisinuava attraverso tutti gli strati dei miei vestiti e le gocce mi si impigliavano tra le ciglia, desideravo con tutto il cuore che mi offrissi riparo sotto il tuo ombrello.
Ma fu la ragazza di terza alla mia destra a farlo, non tu. Tu pensavi che me lo fossi meritata, fosse stato anche solo per il modo goffo e ridicolo con cui avevo tentato in tutti i modi di ripararmi con l’ombrello rotto.
È da allora forse che inconsciamente mi sono abituata a guardarti da sotto la pioggia scrosciante, coperta di miseria e di impotenza, e anche di rabbia e rassegnazione.
E mi viene in mente dopo due anni, in questa fase della mia vita in cui arrivo, destinazione e transizione sembrano fondersi in una poltiglia di inquietudine, quanto davvero mi manchi. Di fronte all’incertezza del domani non c’è orgoglio che tenga: in un attimo ho perdonato tutto quanto e ora desidero solo sapere se stai bene. Non ti ho più rivisto, se non nella foto del diploma.  Mi sei sembrato stanco e sono preoccupata che ora la vita non ti stia riservando la felicità che meriti. Penso che la me di ora, nonostante non si senta sicura neppure a fare le cose più banali, paradossalmente sarebbe in grado di renderti felice.
Ma non mi darai una seconda occasione.
Perciò io resto qui, sotto la pioggia: guardo il tuo ricordo svanire e sbiadirsi, finché non mi resterà solo questa indefinita nostalgia.
Ho composto questo tanka pensando a te e alla sensazione di essere guardata severamente dal cielo nuvoloso. In quei momenti mi tornano in mente tutte le persone il cui giudizio per me era importante, e che ho deluso.
Nuvole grigie
I tuoi occhi sottili
E silenziosi
sono al confine tra
la luce e l'abisso

Tutti i post: