17 ago 2016

Umarekawaru toki - 6.8.2016

Stazione di Matsumoto, ore diciassette.
La voce al megafono ripete per tre volte la cantilena "Matsumotooo! Matsumotoo!".

Lui è un universitario.
Porta due strati di magliette, una più sgualcita dell'altra. Pantaloni verde oliva, anch'essi sgualciti. Ai piedi dei calzini bordeaux con disegni tirolesi bianchi e le crocs.
Passa il controllore - cosa mai vista in Giappone. Lui lo ignora fino all'ultimo. Sta leggendo.
Il libro è rivestito di carta grigia scura e sulla costola c'è scritto "Come fai a leggere così tanto?".
I capelli, neri e lisci, non sono tagliati da tempo: ha una divisa storta e una forcina per tenerli lontani dalla fronte.
Ci sono due borse fra le sue gambe e presumo che ami i toni del blu. Non è particolarmente bello, nè curato, ma le sue ciglia sono lunghe e folte: gli conferiscono un'aria dolce da cerbiatto. Non scenderà mai alla mia fermata - a se lo fa giuro che gli chiedo il nome. Mi domando cosa stia leggendo e se tragga piacere nel farlo.
Intanto, un airone si alza in volo su una risaia.Si distende e plana. E' un dardo grigio scoccato su una distesa di verde brillante.
Il treno nella direzione opposta è straripante di persone: a Matsumoto stasera c'è un matsuri. Matsumoto "bon bon".
Le strade erano già piene di bancarelle, lanterne di carta rosa e yukata variopinti... mi hanno dato anche tre ventagli.

Ogni volta che il ragazzo di fronte a me posa il libro sulla coscia per prendere da bere, il mio cuore perde un colpo. "Ora scende!", penso.
E invece è ancora qui. Il paesaggio che scorre dietro di lui si fa sempre più rurale e io lo divoro con gli occhi - ma soprattutto con il cuore. Oltre i muri che circondano i giardini delle case, pini simili a baobab si crogiolano al sole.
Tutto è bello ogni oltre aspettativa. Le montagne, le risaie, le case tradizionali, il ragazzo che legge: sono tutti regali che il cielo mi ha fatto e che presto mi porterà via.
Ecco, lo sento. Mono no aware. Dolceamaro e familiare.

Alla fine sono scesa prima io.
Sono in anticipo di un'ora e mezza, sarei potuta rimanere sul treno e invece sono scesa.
Lui ha posato il libro e mi ha guardata con la coda dell'occhio; avevamo pensato la stessa cosa? Ho dunque fatto un dispiacere a entrambi?
Il destino è buffo, io sono in un posto meraviglioso con il cuore a pezzi per una persona di cui non saprò mai neanche il nome, In questi casi le persone imparano a cogliere l'attimo per farsi avanti mentre io imparo solo che dovrei smettere di sognare a occhi aperti.
Il sole tramonta già. Il verde si è impossessato della stazione di Shinano Tokiwa e l'ha resa parte di sé: ora l'erba cresce anche nelle crepe dell'asfalto delle piattaforme. Fa caldo, ma da sud soffia un vento leggero.
Noi persone inclini all'arte - specialmente alla letteratura - siamo per natura incapaci di fare qualcosa che ci renda felici.
Di là dai binari, giunchi spontanei sono arruffati dalla brezza e guardandoli sembra che possano farti il solletico; da un altoparlante si diffonde una musica a carillon - sono le diciotto in punto.
Il profilo delle montagne mi ricorda davvero l'haiku di Akutagawa: "monti d'estate - e anche i monti sono cielo nella luce della sera". Semplicemente sembra che si dissolvano, si sfaldano in un'impalpabile inconsistenza e si disperdono in cielo.
Sedendomi sui gradini fuori dalla stazione realizzo che è totalmente incustodita: ora si spiega il controllore.
Respiro a pieni polmoni l'aria di montagna e chiudo gli occhi mentre mentalmente aggiungo un'altra voce alla lista di persone da incontrare nella prossima vita.


7 ago 2016

Diario di viaggio - Zoshigaya (5 e 6 agosto 2016)

6/8/2016


Inauguro il blocco mentre aspetto il secondo Shinkansn della mia vita. Stavolta la direzione è Matsumoto.
Sento di aver fatto la cosa giusta, con questo viaggio. Non esiste posto al mondo in cui mi senta così a casa: alquanto strano, visto che in Giappone sono dstinata a una vita solitaria... in questi due anni in Italia, però, c'è mai stato un momento in cui non mi sia sentita sola? Il mio cuore è sepre rimasto qui, lo realizzo ora più che mai.
La stazione di Ueno è un enorme incrocio di vite: migliaia di persone si passano accanto frettolosamente senza mai guardarsi in faccia. I loro passi hanno consumato questo posto che adesso sembra uscito da qualche angolo della mia infanzia.
L'aria umida di Tokyo ha esattamente lo stesso odore dolciastro di tre anni fa e quando me ne sono accorta mi sono stupita di quanto il cervello umano sia strano: chissà perché ero convinta che quel profumo fosse emanato dalla pelle del mio fratellino ospitante di Osaka. E' un odore particolare di umidità stagnante mista a un profumo indistinto, pulito, come appena usciti dalla doccia, dove di tanto in tanto si insinua una corrente di aria fresca. Se chiudo gi occhi, ritorno alla stazione di Juso: sto aspettando il treno per Ashiya, è una mattina di settembre e indosso la mia divisa alla marinara bianca.
Fino a due giorni fa questi ricordi mi facevano male ma ora, stranamente, li accolgo con una sorta di sollievo, come se finalmente avessi trovato loro un posto. Non saprei dire se ho fatto pace con il Giappone durante questi due anni o nell'istante esatto in cui ci ho rimesso piede. Fatto sta che mi mancava così tanto da stare male.
Ieri sono stata a Zoshigaya: pensavo di trovarci anche Akutagawa e invece c'era solo Natsume Soseki. Era la prima volta che entravo in un cimitero buddista e l'ho trovato estremamente toccante. Le tombe sono altari di pietra su cui sono scolpiti a fondo ideogrammi cinesi per me incomprensibili. Il colore delle pietre tombali va dal nero lucido al grigio chiaro, in ogni caso il bianco dei nostri cimiteri non compare. Non ci sono foto, né date, né lucine: tutto è estremamente anonimo. Su alcune steli non compare neanche il nome che il defunto portava in vita. Fra le tombe crescono liberamente alberi e cespugli che proteggono le lapidi dal sole e dal caldo.
Ho deposto in giglio bianco sulla tomba di Soseki e poi sono stata lì giusto il tempo di una preghiera. Sento che era il minimo che potessi fare.
Ogni volta che penso agli scrittori che ammiro, mi chiedo se mi avrebbero approvata in quanto collega o se piuttosto avrebbero tratto ispirazione da me per uno dei loro personaggi grotteschi. La seconda opzione mi sembra la più probabile: amare troppo rende tragicomici.
Anche scrivere libri che nessuno legge rende tragicomici, il che i rende doppiamente ridicola.
Zoshigaya si trova vicino a Higashi Ikebukuro, un quartiere tranquillo e pittoresco dove vecchie casette tradizionali sepolte dall'edera rampicante si sparpagliano senza alcun criterio. Le pareti di legno, le porte scorrevoli, i geta appoggiati contro i gradini, le strade strette che si attorcigliano, le tegole spesse e lucide... tutto sembra uscito da uno dei libri che leggo di solito. Gli unici rumori erano il frinire delle cicale e, di tanto in tanto, il gracchiare dei corvi. 
L'atmosfera era quella ovattata di un sogno particolarmente realistico e ho pensato a quanto sarebbe bello vivere in un posto tanto tranquillo.
Un ragazzo sulla ventina con una camicia a scacchi è appena arrivato con un borsone e una gabbietta per criceti rosa: avevo visto viaggiatori con gatti e cani, ma è la prima volta che assisto all'ingresso di un criceto in una stazione. 
Per un attimo immagino che tutti i viaggiatori indossino un kimono: è divertente. Gli si addice di più di questi abiti occidentali che tutti qui indossano in modo che ricadano larghi addosso. E' piuttosto difficile intuire la forma dei corpi - quelli  delle donne soprattutto. Una cosa positiva della moda giapponese è che qui posso mettere il mio cappello di paglia in santa pace.
Un signore anziano con un borsone pesante siede e si guarda attorno con aria accaldata. Ha pantaloni neri, scarpe di pelle e una camicia. Il suo cappello grigio gli conferisce un'aria discretissima anche mentre si asciuga il sudore dalla faccia.
Arriva lo Shinkansen, mi siedo.
Tokyo scivola via fuori dal finestrino: gli edifici sono tasselli grigi di un puzzle. Le finestre dei palazzi diventano tastiere di pianoforti via via che il treno accelera. 
E' mattina inoltrata ma il cielo, vagamente nuvoloso, rimane di un celeste tenue e sporco: mi è tornato in mente solo ora, questo cielo che non diventa mai azzurro. 

...continua ...

Tomba di Natsume Soseki, al cimitero Zoshigaya. Ho deposto un giglio bianco sull'altare.


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