11 lug 2016

Il centro dell'Universo

Dopo aver dischiuso le labbra sottili, il ragazzo lupo tracciò sulla terra umida un cerchio: lo scavò con le lunghe dita affusolate e la terra gli sporcò le unghie lisce.
«Ecco, questo è il centro dell’Universo», sentenziò senza staccare i sottili occhi neri dal solco che aveva appena disegnato.
La fabbricante di sogni distolse lo sguardo e si morse le labbra, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
«Sei crudele», mormorò. Alle loro spalle, la catene montuose si distendevano ricoperte dal verde degli alberi. Al limitare del bosco crescevano radi dei cespugli di ginestre.
Il ragazzo lupo piegò gli angoli della bocca, rattristato: anche lei sapeva che non era colpa sua. Se avesse potuto scegliere, il ragazzo lupo non le avrebbe mai fatto del male.

La fabbricante di sogni tornò spesso al centro dell’Universo. Anche quando la pioggia autunnale l’aveva ormai cancellato e l’erba primaverile vi era cresciuta sopra, in qualche modo ritrovava sempre la strada.
Solo il ragazzo lupo non c’era. Qualcuno diceva che vagasse in foreste lontane alla ricerca della cura di tutti i mali, per altri era addirittura morto per amore.
L’unica cosa certa è che solo lui poteva cancellare il centro dell’Universo e liberare finalmente la fabbricante di sogni dal suo tormento: lei non poteva non tornare su quel luogo. Neanche se si fosse incatenata ai poli opposti della terra sarebbe riuscita a ignorare il richiamo.
Passarono gli anni, e al centro dell’Universo crebbe un alto pino rosso: la fabbricante di sogni soleva arrampicarcisi, sbucciandosi le piante dei piedi, per sedersi su un ramo. Allora, mordendo una pesca bianca, guardava la sua torre ricoperta d’edera, in lontananza, e non riusciva neanche più a desiderare che il ragazzo lupo venisse a cancellare le tracce del solco scavato tanti anni prima. L’odore della corteccia dell’albero era lo stesso che emanava la sua pelle al sole.
Andare al centro dell’Universo era l’unico modo in cui poteva amarlo – non perché lui fosse lontano, o forse addirittura morto: se anche il ragazzo lupo fosse restato, lei non sarebbe stata in grado di renderlo felice. Ma per qualche ragione, rimanendo fedele a quei rami densi di resina, a quegli aghi, a quelle radici rossastre, ferendosi i piedi su quella dura corteccia, sentiva di dare la più grande prova d’amore di cui sarebbe mai stata capace.
Appollaiata sul suo ramo, le gambe bianche penzoloni, passava serate intere ad appuntare matite o a intessere reti di stelle cantando una vecchia canzone che faceva:

Corri, corri, cacciatore di libellule
fin dove ti sarai spinto oggi?

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