1 apr 2016

"Ciliegi in fiore sul far della sera" - Racconti da diciassette sillabe da un haiku di Issa

Ciliegi in fiore sul far della sera
anche quest'oggi
è diventato ieri

Kobayashi Issa


«Posso aiutare in qualche modo?».
Il professor Morita  si voltò di scatto con aria sorpresa.
Poco prima, mentre tornava verso casa da scuola, il copertone della ruota anteriore della sua bicicletta si era smontato da solo e il professore era quasi caduto di sella.
Lì per lì aveva pensato che fosse un mancamento dovuto alla stanchezza - forse aveva  frenato involontariamente - e allora era smontato dalla bici e l'aveva accostata alla ringhiera lungo il fiumiciattolo proprio sotto il fascio di luce di un lampione.
Si era chinato stancamente guardandosi intorno: sperava infatti che non ci fosse nessuno nei paraggi. Il professor Morita zoppicava leggermente da una gamba, e ogni volta che rischiava di cadere o perdeva l'equilibrio temeva che la gente l'avrebbe guardato con commiserazione e pietà: l'idea lo deprimeva. Aveva vissuto tutta la vita fingendo di non dare peso a quel difetto, come se per lui neanche ci fosse, sperando di dimostrare a tutti che non aveva assolutamente bisogno di essere compatito; così facendo, lui era stato l'unico davvero infastidito dal proprio andamento oscillante. "Ognuno ha i suoi complessi", si ripeteva rassegnato.
Sul vialetto lungo il fiume sembrava non esserci nessuno e il professore aveva tirato un sospiro di sollievo. Aveva tirato fuori gli occhiali da lettura dalla sua cartelletta di pelle e li aveva inforcati per osservare meglio il copertone difettoso; con sua estrema sorpresa, scoprì che nella gomma spessa e dura che rivestiva la camera d'aria c'era uno squarcio lungo almeno quattro centimetri.
Si avvicinò ancor di più sentendosi ribollire il sangue nelle vene: il taglio, troppo preciso e pulito, era stato chiaramente procurato con una lama.
Il professore si alzò in piedi e si arruffò i capelli in testa borbottando qualche imprecazione: in casi come questo il suo buffo accento di Aomori si faceva più marcato.
Il professore era un uomo in grado di mantenere la calma in tutte le situazioni, e anche stavolta non pareva arrabbiato: piuttosto aveva l'aria vagamente preoccupata.
In verità, sentiva le orecchie andare a fuoco e non riusciva a raccapezzarsi di chi potesse avergli fatto un simile scherzo di pessimo gusto. Sicuramente qualche teppista, visto che a scuola era in buoni rapporti con tutti i suoi studenti.
Perso nei suoi pensieri non si era accorto della persona che si era avvicinata.

«Posso aiutare in qualche modo?».
La voce che l'aveva fatto trasalire era quella roca tipica degli adolescenti in pubertà.
Alle spalle del professore c'era un ragazzo alto e smilzo con i capelli rasati: sulla faccia ossuta gli occhi piccoli come due fessure lo scrutavano nervosi. Lo studente aveva la camicia della divisa stropicciata fuori dai pantaloni e sulle spalle portava un largo borsone blu.
«Mitani?», domandò il professor Morita con una vena di stupore, «che ci fai qui?».
Lo studente si grattò la nuca pelata ancor più imbarazzo e indicò il pesante borsone sulle sue spalle con un cenno del capo.
«Ero al club di baseball».
«Oh, questo lo vedo, ma perché oggi non c'eri a lezione?».
Mitani tirò su col naso e ignorando deliberatamente la domanda del professore tolse il cavalletto alla bici e cominciò a spingerla tenendo sollevatala ruota anteriore. Al di là delle apparenze gracili, Mitani era abbastanza forzuto da camminare sorreggendo il peso della bicicletta.
«Non so quanto le convenga riportarla a casa... forse è meglio affidarla a un riparatore di biciclette e prendere il treno», disse con la voce roca.
Poi tacque.
Il professor Morita era stato colto così alla sprovvista da essersi quasi dimenticato del taglio nel copertone, e comunque adesso non era più così arrabbiato. Era solo una stupida ruota. Piuttosto era contento che qualcuno si fosse fermato per dargli una mano. Non capitava tutti i giorni che qualcuno si fermasse per venire incontro al prossimo.
Mentre camminava con la sua andatura incerta al fianco di Mitani pensava a quanto si sarebbe sentito in imbarazzo se fosse stato qualcun altro a trasportare la sua bici; ma chissà perché, dal volto dello studente, così nervoso e acerbo, non traspariva traccia di commiserazione né sembrava che il suo gesto fosse stato dettato dal senso del dovere. Anzi, si sarebbe detto che dietro l'imbarazzo si celasse una candida felicità.
Gliene fu grato.

Il professore si rese conto di non sapere nulla di Mitani; lo vedeva per tre ore a settimana quando la sua classe aveva il laboratorio di falegnameria e gli era sempre sembrato un ragazzo normale, né troppo chiassoso né troppo taciturno. Non si poteva dire che passasse inosservato, con quei capelli corti e ispidi che lasciavano intravedere la forma del cranio e quegli occhi sottili che lo facevano sembrare un bonzo.
Il professor Morita si ricordò che Mitani gli era rimasto impresso anche per un'altra cosa: al contrario dei coetanei che avevano tutti le unghie quadrate e lucide, lui le aveva corte e stondate. Era impossibile non notarle perché quando maneggiava il legno sembravano proprio quelle di un falegname.
E con ciò? Il professore in fondo non conosceva nessuno dei suoi allievi ed era anche deontologicamente giusto che così fosse. Lui non aveva mai capito gli insegnanti che instauravano rapporti personali e colloquiali con gli allievi. Adesso però avrebbe voluto capire cosa spingeva il giovane Mitani a un tale gesto.
«Quest'anno i fiori di ciliegio sono durati parecchio, eh», mormorò lo studente, quasi volesse spezzare l'imbarazzo di quel prolungato silenzio. Il professor Morita alzò gli occhi verso i rami fioriti illuminati dal bagliore soffuso dei lampioni: era vero, i fiori erano ancora incredibilmente numerosi nonostante fossero sbocciati già da un paio di settimane.
Non ci aveva fatto caso, eppure passava da quella strada lungo il fiume due volte al giorno.
«Il tuo coordinatore di classe ha detto che ultimamente salti spesso le lezioni... mi fa piacere vedere che almeno al club ci vai».
Mitani rilassò le spalle: probabilmente era contento che il professor Morita non lo avesse sgridato.
«In realtà salto anche il club. Il capitano della squadra sta pensando di buttarmi fuori, se gioco senza essermi allenato è una perdita di tempo per tutti», rispose. Malgrado tutto sorrideva e il professore trovò il fatto alquanto bizzarro.
«E cosa fai, mentre non sei a scuola?», gli domandò senza riuscire a nascondere la sua curiosità.
«Faccio del bene agli altri».
Mitani si fermò e si voltò lentamente per osservare la reazione del professore, poi scrollò le spalle, sorrise e riprese a mandare avanti la bicicletta.
Il professor Morita, troppo interdetto per parlare, si limitò a seguirlo.

«Vede», riprese il ragazzo, «negli ultimi tempi mi sono un po' stancato di tutto il male che c'è nel mondo. Davanti a certe ingiustizie mi domando che senso abbia studiare o andare al club... Mi spiego meglio: lei non si stanca mai di vivere? Come se tutto questo incedere con fatica non avesse alcun senso? Come se non restasse nulla di buono, alla fine di tanti sforzi... ».
Il professor Morita si sentì punto nel vivo: era una cosa a cui pensava spesso e il fatto che un ragazzo così giovane fosse arrivato alla sua stessa conclusione lo fece rabbrividire.
«Ultimamente mi sveglio la mattina e il mio unico pensiero è di vivere senza peggiorare il mondo; anzi, per quel poco che posso, voglio provare a migliorarlo. Posso scegliere di far parte di quelli che vivono per sé stessi, di quelli che invece le hanno manomesso la bicicletta, oppure schierarmi dalla parte di quelli che migliorano la vita degli altri. Io sento di essere venuto al mondo per fare qualcosa di più che trovare un buon lavoro e costituire una famiglia... credo che noi esseri umani, al pari di tutte le altre cose, nasciamo per portare frutto.
«Insomma, guardi questi ciliegi in fiore. Li osservi, pensi a quanto danno in cambio del nutrimento che ricevono dalla terra e dalla pioggia. In ogni stagione danno una casa agli insetti e al muschio, portano ombra alle piante che crescono alla loro radici e fioriscono per rallegrare gli uomini, gli animali e il cielo.
«E ora pensi a quante cose può fare un essere umano; eppure viviamo tutta la vita portando meno frutti di un qualsiasi ciliegio. Questa cosa mi rattrista», affermò il giovane Mitani continuando a trasportare la bicicletta senza mai voltarsi.
Il professor Morita però non lo seguiva già più. Con le mani che tremavano si era fermato a guardare da sotto in su un tozzo ciliegio carico di fiori.
«Professore, tutto bene? Siamo quasi arrivati... Professore? Professore...», sentì la voce roca di Mitani richiamarlo da una decina di metri più in là.


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