25 apr 2016

Calla selvatica

Mi sono fermata davanti a te, mentre tornavo a casa.
Pioveva ma era domenica, non mi andava di aspettare l'autobus per mezz'ora e mi sono avviata a piedi. Tu mi guardavi dalla nicchia che ti sei scavata nel sottobosco, allungandoti flessuosa come una candela fuori dalla terra. In mezzo allo smeraldo cupo dei germogli nuovi, sparpagliati tra le insenature fra i sassi, e al marrone vivo del terriccio, in mezzo a questa esplosione di vita, a questo caos primordiale, tu stavi da sola nella penombra del fogliame come una divinità indù nel suo tabernacolo dorato.
Mi sono fermata davanti a te e sono ammutolita: non che prima stessi parlando. Ma la voce nella mia testa, quella che parla di continuo, lei si è zittita davanti alla curva flessuosa del tuo corpo pallido come la luna. Nella tua pancia verde si racchiudeva forse un minuscolo abitante della luna, come nella storia del tagliatore di bambù? La tua singolarità aveva qualcosa di seducente, paragonabile solo alla curva sinuosa di una schiena bianca.
"Come ci si sente, a essere così diversi dal mondo che ci circonda?", ti ho chiesto. Ma la risposta la sapevo già.
E così ho chiuso l'ombrello: piovigginava ma non mi importava che i capelli si arricciassero, tanto stavo tornando a casa. La pioggia primaverile ha iniziato a scendere ugualmente su di te e su di me e allora anche tu devi esserti accorta della nostra incredibile somiglianza: come se si stessero guardando allo specchio, due bizzarre creature lunari si tenevano silenziosamente compagnia.
Poi ho ripreso il cammino. Lungo il fiume l'umidità faceva risaltare il profumo dolciastro delle foglie dei fichi.
Da allora ti ho pensato spesso, calla selvatica. Ma soprattutto ti ho invidiata: per quanto sola, distante e diversa io possa essere, non sarò mai bella quanto te.


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