28 mar 2016

さくら - Sakura


"Che c'è di particolare, è solo un ciliegio!"

Ecco, questa frase non ditela davanti a un giapponese. Non fatelo e basta. Fidatevi

Sarà che alla primavera, foriera di vita e di nuovi inizi, i giapponesi sono da sempre particolarmente affezionati. Sarà che il risveglio della natura, con il suo sole, il suo tepore e i colori dei fiori ci rimangono impressi nei ricordi sin da quando si è bambini e in Giappone i ciliegi sono lì davanti agli occhi di tutti e la loro fioritura scandisce inequivocabile il tempo della vita.
Forse è perché i ciliegi fioriscono proprio nel periodo in ci si comincia un nuovo anno di scuola, si cambia ufficio, ci si trasferisce per lavoro in un'altra città e allora guardandoli si ha automaticamente l'impressione che il tempo ci stia dando una nuova occasione per inseguire la felicità.

Ma siamo sicuri che ci sia solo questo? Se così fosse, come mai io, una semplice gaijin mi sono commossa davanti alla sconfinata fila di alberi in fiore che si estendeva lungo le rive del fiume Shukugawa? Quale ricorrenza della mia vita, quale nuovo inizio potevano mai rammentarmi?

Ripensandoci ora, quello sarebbe potuto essere il periodo più triste della mia vita.
Ricordo che un paio di settimane dopo che i fiori erano caduti dai rami, mi rinchiusi in una chiesa e piansi in silenzio, accasciata sull'inginocchiatoio.
Ma davanti alla fioritura dei ciliegi, fu come se avessi bevuto un potente antidolorifico; camminando sotto le fronde simili a nugoli di farfalle bianche percepivo l'entità dello squarcio nel mio petto, ma non sentivo bruciare.
Lungo le rive di Shukugawa per tutto il giorno centinaia di persone di ogni età sedevano sotto i rami dei ciliegi sui teli e tovaglie; il rumore dell'acqua che zampillava dalle pescaie si confondeva con il brusio allegro delle loro voci. Io camminavo, su e giù fra la stazione di Shukugawa e quella di Kurakuen stando attenta alle radici dei pini, passando sotto il ponticello della ferrovia, attraversando il fiumiciattolo saltando da una pietra all'altra.
Sarebbe potuto essere il periodo più triste, e invece fu uno dei più belli. In quei giorni non esisteva altro che la percezione del tepore del sole che filtrava attraverso i fiori e il lento scorrere dei petali trascinati dalla corrente del fiume. Quando capitava che tornassi tardi, dopo l'imbrunire, percorrevo l'ultimo tratto dalla stazione a casa lungo le rive buio del fiume, e osservavo le chiome dei ciliegi riflettere la pallida luce della luna. Se la mia vita mi appariva misera e squallida, il paesaggio di quei giorni mi convinceva che nessuno dei miei difetti era abbastanza grave da intaccare la bellezza del mondo.

Da quando sono tornata, mi sono resa conto di cercare  i sakura in tutti gli alberi in fiore che vedevo, quasi fosse un bisogno fisiologico. Ormai la fioritura fa parte del mio essere, e a volte gongolo all'idea (sbagliata) che forse dentro di me sono un po' giapponese.
La verità è che i gaijin restano gaijin e che questa nostalgia dipende esclusivamente dal fatto che i ciliegi giapponesi si limitano a esercitare lo stesso fascino su tutti, indistintamente.
Si dice che nel tronco dei ciliegi scorra una forza vitale portentosa, e che riposarsi alla loro ombra risani e rinforzi anche lo spirito degli esseri umani.
Di conseguenza sono giunta alla conclusione che fra tutte le miriadi di motivi per cui i giapponesi sono tanto teneramente affezionati a questo piccolo miracolo della natura, la ragione principale sia questa: sotto un sakura in fiore ci si sente meglio.
I problemi non spariscono, le angosce non si cancellano, ma tutti i nostri affanni vengono messi in disparte dallo stupore e dalla meraviglia.

L'Occidente non lo sa fare. Noi non siamo più capaci di fermarci davanti a un albero o a un cespuglio per notare i suoi cambiamenti. Non ci accorgiamo quando un prato invernale si trasforma in un prato primaverile - e badate bene che la differenza è abissale.
Questa trascuratezza, queste disattenzioni, si riflettono nel modo con cui ci rapportiamo agli altri esseri umani. Non ci accorgiamo di come cambiano, di come la vita li segna, non notiamo quando fioriscono. Solo quando appassiscono, un po' come i fiori, solo allora ci rendiamo conto che qualcosa viene a mancare e ci lamentiamo di non esserci soffermati a godere di quel qualcosa quando ancora c'era. E' un peccato.

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