29 mar 2016

"Piccola eco in una teiera d'ottone" - Racconti da diciassette sillabe da un haiku di Akutagawa

明星のちろりにひびけほととぎす

sotto la stella del mattino - piccola eco in una teiera d'ottone - il canto di un cuculo

Akutagawa Ryunosuke


Yurina sedeva in seiza sulle assi del pavimento vicino agli shoji che dalla cucina davano sulla veranda. Le spalle stanche, curve sotto il kimono floscio, le conferivano un’aria dolce di decadenza; anche i ciuffi di capelli scappati dal fermaglio sembravano essere stati arruffati ad arte. La testa era stancamente appoggiata contro il telaio degli shoji.
Yurina chiuse gli occhi stanchi e gonfi e rimase in silenzio: al di là dello strato di carta di riso si sentiva il suono del bosco che si risvegliava. Ecco, in quel frangente Yurina scoprì che non era l’alba a risvegliare la natura, ma la natura stessa a scalpitare affinché il sole sorgesse. Se non fosse stata così stanca, probabilmente avrebbe sorriso.
Taiki strisciò stancamente i piedi sul legno del pavimento e disse:«Alzati e va’ a lavarti», dopodiché la prese delicatamente per le spalle e la allontanò dagli shoji.
Yurina osservò il marito sbattendo stancamente le palpebre, mentre lui con un gesto secco spalancava i pannelli scorrevoli. Fuori il cielo era di un celeste pallido e sporco: solo in lontananza, nel punto in cui i crinali dei monti si incrociavano, si intravedeva un tenue bagliore giallastro. L’odore umido della notte continuava ad permeare i margini del bosco: tutt'intorno alla casa aleggiava la leggera nebbia tipica delle mattine di primavera. L’odore pungente del sottobosco stuzzicò le narici di Yurina che rabbrividì: improvvisamente si sentì sveglia. Taiki afferrò il vecchio bricco  d’ottone per il sakè un po’ ammaccato, deciso a andare a riempirlo nella veranda.
«Controlla che la teiera sia vuota», mormorò Yurina con la voce spezzata dalla stanchezza per aver passato una notte senza dormire piegata in due dalla nausea.
Taiki sbuffò che era vuota, lo sentiva che non era pesante, ma malgrado tutto obbedì alla moglie e sollevò il coperchio di metallo. In quel momento dal ventre del bosco, in lontananza, si levò il canto di un cuculo: il canto si propagò nella valle e riecheggiò appena nella teiera di ottone che Taiki teneva per il manico. L’uomo si voltò verso la foresta, oltre gli shoji spalancati, oltre la nebbia.
A Yurina parve di sentire nel canto del cuculo tutte le parole di premura che Taiki non aveva il coraggio di dirle, e sorrise. Il marito si voltò verso di lei e arrossì; poi si arrabbiò. «Che hai da ridere?», borbottò ancor più rosso in viso. Poi si diresse a grandi passi a prepararle il tè.

Appena il marito scomparve in giardino, Yurina si accarezzò il ventre rotondo e rivolse un ultimo sguardo stanco verso la foresta. Ora metà della volta celeste era già tinta di una sfumatura dorata che riluceva sulle chiome degli alberi che ricoprivano le montagne. Vicino a lei, sul pavimento, Taiki aveva lasciato una coperta ben piegata. Yurina se la avvolse sulle spalle e rimase in silenzio a guardare l’alba.
Nella stanza accanto si sentiva il rumore di Taiki che posava le tazze sul vassoio.

da "Storie da diciassette sillabe" di Dafne B.




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