13 feb 2016

Alice - short of time pt. 1 (Racconto Breve)



14 aprile, 1935

Ieri una nostra giovane connazionale è scomparsa nel villaggio indiano di Samay-Shahar.
La fanciulla, che sosteneva di chiamarsi Margaret Ewitt, non è iscritta in nessun registro anagrafico e non risulta essersi imbarcata su nessuna nave diretta in India nell’ultimo anno. Mentre in Inghilterra le forze dell’ordine stanno lavorando per rintracciare la sua famiglia, le autorità indiane stanno indagando senza escludere nessuna pista.
Il villaggio di Samay-Shahar, che si trova a nord-est di Jaipur, è da decenni meta di giovani studenti borghesi per via del suo antico complesso di rovine, un tempo sede del più grande tempio indù della regione. La giovane scomparsa faceva parte di una comitiva di turisti europei che sono già stati interrogati dalla polizia di Jaipur .

Il trafiletto sulla copertina dell’Indian Times rimandava a pagina 4 per leggere l’intero articolo.
“Signor Winster, come puó ben notare la notizia si è rapidamente diffusa...”.
Thomas Winster, ventiquattro anni, una laurea in filosofie orientali, si aggiustó nervosamente gli occhiali sul naso dopo che, stando chino sul giornale, gli erano leggermente calati.
Il caldo umido e afoso, unito alla lampadina a incandescenza della sala interrogatori puntata in viso, lo avevano portato a sudare; sentiva la camicia di lino spiacevolmente appiccicata al torso, ma si era sentito troppo a disagio e non aveva osato togliersi la giacca.
Osservava il capitano Phradjar in ansia, chidendosi perché lo avesse fatto convocare a quell’ora della sera e dove volesse arrivare mostrandogli quell’articolo di giornale. Si domandava se il suo arricciarsi i baffi grigi con aria pensosa indicasse uno stato d’animo particolarmente turbato... C’era forse da preoccuparsi?
“Io non voglio insinuare niente, signor Winster, ma lei è stato l’ultimo ad aver visto la signorina Ewitt - ammeso che davvero si chiamasse cosí - e pertanto il nostro unico sospettato. Tutti i vostri compagni di viaggio inoltre hanno detto che eravate in rapporti relativamente buoni...”.
“Parlavamo ogni tanto, tutto qui”, lo interruppe Thomas Winster allentando il colletto della camicia ormai madido di sudore. Il ragazzo era troppo pavido e smidollato per opporsi fermamente alla pesante accusa che gli veniva rivolta e si limitó a ribattere all’insinuazione. Il capitano Phradjar non sembró neppure dargli peso,comunque.
“Mi racconti tutto quello che sa di Margaret Ewitt e poi mi ripeta per filo e per segno, senza tralasciare neanhe un particolare, que che è successo ieri mattina”.
Thomas Winster deglutí e congiunse le mani tremanti in grembo.
“D’accordo, le diró tutto. Ma lei deve promettermi che non mi prenderà per pazzo”.

13 aprile, 1935

Quel mattino la via principale di Samay-Shahar era trafficata come al solito. I mercanti di frutta si facevano aiutare dalle mogli abbigliate in sarii sgargianti e dai figlioletti a trascinare fino al mercato carretti straripanti di casse. Gli schiamazzi delle donne che sciacquavano i panni nel fiume giungevano vivaci da dietro la fila di tettoie di legno e foglie che fungevano da negozi - oltre che da abitazioni, alla bisogna.
Per strada, facendosi largo fra i carretti e i baracchini, un gruppo di sei o sette bambini arruffati e con i piedi sporchi di polvere rincorreva gridando una scimmia con le zampe strette attorno ad un casco di banane; sebbene si trattasse di una vera e propria caccia al ladro, i bambini sembravano divertirsi parecchio, quasi stessero giocando ad acchiappino. Agitando le braccia e i bastoni, schivando i mercanti, balzando sui muriccioli, levavano i loro gridi di battaglia piú per se stessi che per spaventare la scimmia. Poi furono inghiottiti dalla folla.
Due contadini camminavano umilmente dietro una giovenca bianca con le zampe sporche di fango e intonavano una cantilena: al loro passaggio le lavandaie, i mercanti e le loro mogli, persino le anziane donne chine a spazzare il ciglio della strada interrompevano per un attimo le loro faccende, si fermavano e si toccavano il centro della fronte con l’attaccatura del pollice un paio di volte.
“Signorina Ewitt, dove sta andando tutta sola?”.
Il signor Winster, che era un giovane borghese ben educato si preoccupó non appena notó la giovane Ewitt imboccare la porta della hall. Fuori dalla finestra, la strada appariva caotica e confusionaria e non era certamente il caso che una ragazza cosí giovane se ne andasse a spasso tutta sola in un villaggio straniero e barbaro nel cuore dell’India.
Il signor Winster era di temperamento equilibrato e raramente perdeva la pazienza, ma la noncuranza della signorina per il pericolo e la sua ingenua sprovvedutezza lo infastidirono.
Le andó incontro suo malgrado con fare amabile e tentó di dissuaderla. La giovane parve ascoltare il suo consiglio inclinando lievemente il capo. La tesa del capello di paglia bianco le adombró il viso pallido per un istante, il nastro di raso color senape le scivoló sullo spallino dello spolverino a fiori.
“Venga, i fratelli Holmes stanno leggendo ad alta voce nella sala da tè”, la invitò lui con un gesto della mano.
Il signor Winster si voltó convinto di essere seguito e si avvió verso le scale di legno; dopo cinque passi, insospettito dall’insolito silenzio della giovane, si voltó con l’intenzione di instaurare lui stesso una conversazione.
Ma la signorina Ewitt non c’era; la porta girevole della hall dell’hotel girava sonnacchiosa e al di lá delle vetrate, nella strada, fra i mercanti, i carretti, le donne in sarii e i bambini che giocavano a rincorrersi, non c’era traccia del suo spolverino a fiori, né tantomeno del suo cappello bianco.

La signorina Ewitt era stata fin dall’inizio una che amava fare di testa sua. All’inzio il signor Winster l’aveva trovata tremendamente irritante: si sa bene che le donne sono stupide e incoscienti e che la testardaggine le spinge solo a correre inutili rischi. Poi peró il signor Winster aveva rivalutato l’attitudine della signorina Ewitt; a volte gli era perfino parso che quella giovane, seppur debole come tutte le donne, fosse molto più capace di lui. L’irritazione era stata pian piano sostituita da un cupo senso di inferiorità; il fatto stesso di sentirsi cosí nei confronti di una donna era per il signor Winster causa di profondo imbarazzo.
Eppure, osservando la signorina Ewitt prendere con risolutezza decisioni dalla logica spiazzante o sentendole affermare cose particolarmente profonde e intelligenti senza la minima timidezza o esitazione, si sentiva pieno di una cieca ammirazione.
Da allora aveva iniziato a rivolgersi alla signorina Ewitt con un rispetto e andava oltre la semplice cavalleria.
Tutavia, intorno a lei permaneva un alone di mistero che, se da una parte la rendeva maliziosamente affascinante, dall’altra faceva quasi paura.
Una volta, ad esempio, il signor Winster si permise di chiederle l’età: dimostrava poco più di diciotto anni eppure si comportava con la compostezza di un’adulta
La signorina Ewitt aveva risposto con un sorriso malizioso : “Non tengo più il conto della mia età da almeno vent’anni”. Interpretando la risposta come una bizzarra battuta, il signor Winster aveva riso. Ma osservando lo sguardo profondo della signorina Ewitt e il suo sorriso affabile, la risata gli era morta sulle labbra. Il volto pallido e senza tempo di lei era stato percorso - anche se solo per un millesimo di secondo - da un ghigno divertito.

Il gruppo di studenti aveva percorso la costa e da una settimana si era addentrato nella regione di Jaipur intenzionato a godersi un'avventura nella giungla - certo, con la moderazione che si addiceva a dei giovani borghesi occidentali.
Quando la comitiva si riuniva, poco dopo i pasti, c’era sempre qualcuno che leggeva un libro ad alta voce o che intavolava conversazioni a sfondo filosofico. Si parlava anche d’attualità, talvolta, ma non molto di politica.
La signorina Ewitt in quei momenti sedeva con tutti, ma raramente apriva bocca. Distendeva il volto, ascoltava con attenzione con un sorriso misterioso ed era chiaro che pensava qualcosa che peró non aveva mai l’ardire di pronunciare ad alta voce.
Il signor Winster la osservava con la coda dell’occhio sperando di cogliere in lei una parvenza di umanità che peró non sembrava decidersi ad affiorare.
Nessuno comunque trovava sgradevole o bizzarra la sua presenza, e d’altro canto neanche il signor Winster all’inizio si era minimamente insospettito.Una sera, però, mentre si trovavano sul ponte di un battello che risaliva il fiume, aveva notato che la signorina Ewitt si era allontanata dal gruppo in silenzio. Non sapeva bene perché decise di seguirla – o meglio – lo sapeva, ma non l’avrebbe mai ammesso davanti al capitano Phradjar.
Aveva trovato la signorina voltata di spalle, appoggiata al parapetto del battello con il naso rivolto verso il cielo. La brezza del fiume le scompigliava i ciuffi ribelli scappati dallo chignon.
Fu una visione strana, una di quelle dove un particolare non torna.
Il signor Winster trattenne il fiato e si acquattò contro il muro delle cabine.Sì, c’era qualcosa di strano… i guanti – la signorina Ewitt non li portava. Era un fatto rarissimo se non unico… nella comitiva quasi nessuno aveva mai visto le sue mani. La signorina sosteneva di non togliere mai i guanti a causa di una grave ustione che da piccola le aveva deformato le dita, ma ora, a guardarle sotto la luce tremolante che filtrava attraverso gli oblò del ristorante di bordo, le mani della signorina Ewitt apparivano bianche e prive di imperfezioni.Tenevano un piccolo libro aperto più o meno a metà, ma la ragazza non accennava a chinare il capo per leggere. Che fosse un libro di preghiere?, si domandò ingenuamente il signor Winster.D’un tratto il vento si alzò, arruffando ancor di più i capelli della signorina Ewitt e increspandole il colletto di sangallo… stranamente né le pagine del libretto né l’orlo della sua gonna si mossero.Fu allora che il signor Winster giunse all’assurda, insensata conclusione che il vento doveva per forza venire dal libro.
Da quell’episodio in poi, il signor Winster rabbrividiva ogni volta che il suo sguardo si soffermava sui guanti della signorina Ewitt. Aveva scoperto, intravedendolo di tanto in tanto quando le apriva la sua borsetta di raso azzurro pallido, che il libretto misterioso era un taccuino con la copertina rigida e un coniglio d’argento raffigurato sulla costola.

Un'altra volta, durante un’uscita al mercato di Dharmakhar, la signorina si fermò sotto una tettoia di fogli di banano dove un’anziana donna dal volto rugoso praticava massaggi con olii profumati.
Il signor Winster si preoccupò che distaccandosi dalla comitiva le potesse succedere qualcosa e perciò la accompagnò.
La signorina Ewitt si sfilò le scarpe in segno di rispetto, salì sulla pedana di legno polverosa e salutò la vecchia congiungendo le mani.
L’anziana donna aveva alzato il volto dalla schiena del suo cliente e aveva corrugato le sopracciglia; i solchi sul suo volto erano centuplicati.
“Qui non serviamo stranieri”.
“Non importa, sono qui per un altro genere di servizio”, aveva risposto la signorina Ewitt, che si guardava intorno curiosa, come se l’affermazione della vecchia non l’avesse minimamente turbata.
“Non ti dirò quello che vuoi sapere”, aveva biascicato l’anziana in un inglese stentato.
“Ma io so pagare bene questo genere di informazioni”. Il tono della signorina Ewitt era diventato improvvisamente risoluto.
Il signor Winster era rimasto spiazzato dallo scambio di battute delle due. Il senso del discorso rimaneva del tutto oscuro, ma una cosa era evidente: le due sconosciute sapevano esattamente di cosa stavano parlando. Il giovane si sentì attanagliare lo stomaco dall’ansia e tornò a provare quel forte disagio di trovarsi davanti a un essere misterioso e inumano. Si chiese se forse sarebbe stato meglio che non l’avesse mai seguita. Eppure la signorina non pareva infastidita.
L’uomo disteso sulla pedana gemette; la massaggiatrice aveva premuto più forte del dovuto.
“D’accordo, ho capito. Stasera, lungo il Ruscello delle Virtù. Portane tre, non uno di meno”, aveva borbottato la vecchia senza più alzare lo sguardo.

 “Aspetti un attimo… quindi lei dice che la signorina Ewitt sembrava conoscere la vecchia massaggiatrice?”, domandò il capitano Phradjar buttandosi a sedere e grattandosi il capo confuso. La sala interrogatori era soffocante. Il signor Winster ormai era completamente fradicio di sudore, ma il racconto lo aveva entusiasmato e si era quasi dimenticato di bere il bicchiere d’acqua che gli era stato porto.

“Non ho detto questo. Anzi, sono piuttosto sicuro che le due non si conoscessero affatto. Dico solo che si sono intese al primo sguardo, come se… come se si leggessero nel pensiero!”.


“Ma non diciamo sciocchezze! Nessun essere umano è in grado di fare una cosa simile…”, aveva sbottato il capitano. Il signor Winster aveva gemuto e si era rannicchiato su se stesso, intimorito dall’accusa celata che gli aveva rivolto il poliziotto.


“Le sto dicendo la verità. Questo è ciò che ho visto e ciò che ho pensato in quel momento… E adesso mi lasci finire di raccontare”, balbettò lucidandosi le lenti degli occhiali con un angolo della camicia giacca sgualcita.


“Vede, capitano, io quella sera commisi un grosso errore a seguire la signorina Ewitt. Ma d’altronde, come potevo immaginare cosa sarebbe successo?”, farfugliò il giovane Winster passandosi nervosamente le mani fra i capelli. Lo sguardo inquieto assomigliava a quello di chi, dopo aver visto la morte in faccia, inizia a farsi tentare dalla follia.

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