3 ago 2017

« Buio e Luce »

« Buio e Luce »
«Per un attimo di sole
daresti indietro le tue lune.
Se avessi un cuore che fa male
lo scambieresti con uno che tace.
Puoi restare qui con me
ci cureremo insieme da ogni nostro male.
Puoi capire qui con me
cos'è che fa paura
più della solitudine.»
- “Non ti lascerò cadere mai”, La Fame di Camilla


La Fabbricante di Sogni amava il sole da lontano, in silenzio.
Lo amava attraverso i drappeggi di una tenda e lo spiraglio di una porta; a volte provava a baciarne i raggi dorati che filtravano tra il fogliame fitto del bosco.
Ma il sole restava per lei qualcosa di inavvicinabile: lui la respingeva con spietata noncuranza, come un giovane principe viziato.
Le bruciava la pelle diafana e le accecava gli occhi chiari ogni volta che lei osava guardarlo.
La Fabbricante di Sogni soffriva ma non aveva mai smesso di amarlo neanche per un attimo, perché era come un fanciullo spensierato e pieno di vita.

Lei non era spensierata, infatti apparteneva alla notte: l’oscurità la accoglieva con dolcezza, scavandole un’alcova con i drappi stellati del suo cielo.
Il buio e le sue sfumature la facevano sentire al sicuro, l’assenza di ombre la rendeva leggera.
Era così facile scordarsi il dolore della pelle che bruciava al sole, la notte.
La solitudine invece, quella era impossibile dimenticarsela.

C’è chi sosteneva di aver visto spesso la Fabbricante di Sogni sedersi sul tetto della torre meteorologica, oppure appollaiata sul ramo più alto di un albero o distesa in riva a un ruscello con in mano una lunga canna.
«Va a pesca di lune», dicevano.
Pareva si fosse costruita un grande armadio in cui contenere la sua preziosa collezione, ma non la mostrava mai ai clienti che venivano a trovarla.
Quando glielo chiedevano, si limitava a sfoderare un sorriso cortese e a chiudere l'armadio a doppia mandata.
«Sei gelosa delle tue lune», aveva detto una volta un cliente venuto a ritirare un sogno su misura per lui. La Fabbricante di Sogni gli si era avvicinata con dolcezza, sotto le lenzuola, gli aveva sfiorato il petto con le dita bianche e aveva risposto: «No. Solo che ognuno di noi vede la luna in modo diverso: essa è lo specchio della nostra anima. Non mi sento pronta a mostrare a qualcuno la notte attraverso i miei occhi».
Poi gli aveva baciato silenziosamente le labbra.

Una volta, mentre passeggiava in strada alla ricerca di se stessa, la Fabbricante di Sogni incontrò un altro pescatore di lune: era la prima volta che ciò accadeva.
Lui teneva ferma con l’incavo del braccio una canna da pesca simile a quella che lei si era dimenticata a casa ; le mani sottili erano intente a rollare una sigaretta.
Portava una corona di gelsomini intrecciata fra i capelli e la sua pelle fragile come ali di falena rifletteva il pallore delle stelle.
Doveva soffrire di quel tipo di malattia che costringe la gente a cercare sollievo dal dolore fra i tentacoli di una sofferenza ancor più grande.
Quando si accorse che la Fabbricante di Sogni lo fissava, le sorrise: era un sorriso divertito e malinconico insieme.
La lenza iniziò a tirare e allora lui si affrettò a posarsi la sigaretta fra le labbra e a girare il mulinello.
La Fabbricante di Sogni guardò con le lacrime agli la piccola luna opalescente agganciata all’amo fluttuare sempre più vicina, finché il Ragazzo di Gelsomino non la afferrò fra le mani.
Era rotonda, luminosa e bellissima.
Gli rischiarava la metà superiore del corpo facendo scintillare i fiori tra i suoi capelli come perle rare; lui la guardava con uno sguardo innamorato e rassegnato insieme.
Anche la Fabbricante di Sogni aveva una luna simile, nel suo armadio… no, che diceva, ne aveva almeno cento.
«Collezioni molte lune?», gli chiese.
Il ragazzo rispose: «Forse», ma intendeva “tantissime”: non era da escludere che ne possedesse anche più di lei.
La Fabbricante di Sogni non fece in tempo a dirgli “guarda quanto siamo simili”, che il Ragazzo di Gelsomino si era già affrettato a nascondere la luna nello zaino, con aria contrariata: non avrebbe dovuto mostrargliela. Ora lei conosceva il mistero della notte attraverso i suoi occhi e avrebbe potuto ferirlo facilmente.
Ma la Fabbricante di Sogni non voleva fargli del male: voleva solo che sapesse quanto erano simili.


Passarono molti mesi, mesi in cui il Ragazzo di Gelsomino si rifiutò di guardare la collezione di lune che la Fabbricante di Sogni custodiva tanto gelosamente dalla vista altrui. Se solo avesse dato un’occhiata avrebbe capito… ma non volle mai farlo.
Quel gesto era ciò che di più prezioso lei avesse da offrirgli ma lui la trattò con freddezza e totale assenza di interesse, anzi a volte rise addirittura di lei.
E così anche il meraviglioso contenuto di quell’armadio diventò un pesante fardello di cui la Fabbricante di Sogni desiderò liberarsi.
Basta buio! Voleva essere abbagliata da una luce abbastanza forte da disintegrarla all'istante nell’etere.

Scrisse spesso sogni in cui le ante di legno dell'armadio si aprivano e tutte le sue lune volavano via fluttuando leggere come uno sciame di lucciole.
Poi, invece di infilare quei bigliettini nel Barattolo come suo solito, se li intrecciava fra i riccioli color rame.
Quando i clienti se ne andavano e restava da sola, spalancava l’armadio e si sedeva sul pavimento a osservare la fila ordinata di lune iridescenti che negli anni aveva pescato, pensando a quanto la loro vista le facesse male poiché la costringeva a rievocare, uno dopo l’altro, tutti i sentimenti tristi con cui le aveva agganciate al suo amo d’argento.
Era insopportabile guardarle da sola.
Fu allora che realizzò che non voleva affatto mostrarle al Ragazzo di Gelsomino per aiutarlo; era lei quella che non riusciva più ad andare avanti, rinchiusa nel silenzio della sua torre.
Lei, la Fabbricante di Sogni, lei era quella troppo sola per continuare a vivere.
In quel momento sorse l’alba e dalle assi di legno che sbarravano le finestre filtrarono i raggi rosati del sole.
La Fabbricante di Sogni richiuse a chiave l’armadio e sospirò.
Un giorno, quando avesse sentito di non farcela più, avrebbe schiodato tutte le assi lasciando che la luce del giorno entrasse e cancellasse  in un attimo lei e tutte le sue preziose lune.
Ma per adesso voleva ancora illudersi che, prima o poi, il Ragazzo di Gelsomino avrebbe accettato di sedersi lì con lei, su quel pavimento freddo, a osservare il mondo attraverso i suoi occhi e a meravigliarsi di quanto fosse simile a quello che vedeva lui.
E allora, forse, entrambi avrebbero capito che non dovevano più avere paura della loro solitudine, che incontrarsi sotto quel tetto di stelle era stata una ricompensa del Destino e che il buio e la luce erano  figli dello stesso sole.




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