22 ago 2015

Pensieri in libertà dopo mesi di pausa.



Ultimamente sogno spesso di viaggiare.
Non faccio di quei sogni in cui però parto per andare a rilassarmi alle Maldive.
D’altronde, se fossi rilassata non sognerei neppure –raramente lo faccio.
Invece nell’ultimo mese mi sono svegliata spesso esausta, come se avessi rimuginato tutta la notte, e con un fastidioso peso sul petto.
Credo di capire cosa mi renda tanto preoccupata di viaggiare.
Quando ho ricominciato a scrivere è stato perché sentivo la necessità di metabolizzare.
Io in Giappone ho sofferto fino all’ultimo giorno, fino all’ultimo minuto.
Ho sofferto fino a due minuti fa, e forse non ho ancora smesso.
Ma ogni istante di quella patetica sofferenza, persino quando sono arrivata a ficcarmi un dito in gola per provare a vomitare, o ho smontato la lama di un appunta lapis per poi ficcarmela nei palmi delle mani, persino in quei momenti sentivo che valeva la pena stare lì e fare quello che facevo.
Avevo un disperato bisogno di capire per cosa provassi tanta nostalgia.
Scrivere del Giappone mi ha liberata del peso di quella sensazione confusa e mi ha mostrato chiaramente una ad una tutte le cose che fanno del Giappone il posto più bello del mondo.
Ora però sono comunque divisa a metà fra la voglia di partire, di scappare, di ricominciare e la paura che sia solo un altro colpo di frusta.
Che tanto ovunque andrò sarò destinata a essere sola.
Nei miei sogni sono talmente ansiosa di partire che non poterlo fare è quasi doloroso.
Una volta il ricordo di mia madre che per tranquillizzarmi mi portò a comprare la valigia per andare in  Giappone si è fuso con una nuova fantasia del subconscio in cui sempre mia mamma stavolta andava a prendermi un depliant con i costi di tutti i voli.
Ma poi, una volta in procinto di partire, che fosse per aereo o in treno, verso la Corea o verso la Cina, tutto diventava improvvisamente inquietante.
Iniziavo a notare quelle discrepanze che ti rendono conscia di essere sola, intrappolata in un sogno; i posti non combaciavano, mi ritrovavo in compagnia di perfetti estranei, gente sconosciuta che si fingeva mia amica ma che finiva col rivelarsi una presenza negativa, biglietti importanti che andavano persi, borse che venivano rubate.
Il sogno più inquietante l’ho fatto pochi giorni  fa.
Mi trovavo in una campagna brulla al tramonto.
Camminavo fino a trovarmi dinnanzi a delle grandi rovine simili a quelle che si vedono in Nepal:quattro altri muri di mattoni di terracotta circondavano un prato dove la luce del sole al tramonto si poteva ammirare chiaramente.
Per entrare nel cortile si doveva attraversare un grande portale ad arco: persino nel sogno ho sentito il tepore dei raggi del sole sul viso, e la pace di chi si trova in un luogo talmente antico e magico da rappresentare probabilmente il centro del mondo.
E nel sogno i giorni passavano, e io mi recavo come sempre ad ammirare il tramonto fra le rovine finchè non iniziavo a notare uno strano particolare: ogni giorno la parte superiore del portale si riempiva di mattoni – si chiudeva sempre di più.
Una sera, al tramonto, avevo trovato il portale completamente murato attraversato solo da una sottile fessura – proprio come se fosse stato chiuso da anni.
Avevo sentito il sangue gelarsi e avevo realizzato di non sapere dove mi trovavo, di essere sola e di aver perso il cellulare. Dietro sulla strada sterrata iniziavano a passare dei contadini che mi scrutavano con sospetto.
Avevo percepito il pericolo.
Ma la cosa più brutta era sicuramente stata il senso di colpa nel sentire chiaramente che il portale si era chiuso perché avevo profanato le antiche rovine.
Trovo molto singolare che quest’ansia di viaggiare mi colga proprio in un periodo della mia vita in cui molti dei miei conoscenti è partito o sta per andarsene – mentre io sono bloccata a casa a lavorare.
Non fraintendetemi, mi piace lavorare: credo che gli esseri umani siano in qualche modo programmati per essere felici di mettere testa e mani in qualcosa che li renda soddisfatti e li faccia sentire utili al mondo.
Dico solo che a 19 anni mi è già venuta a mancare quell’ingenua fiducia nel mondo che fa decidere alla gente di lasciare tutto da un momento all’altro, partire e cambiare vita.
Forse perché in passato l’ho fatto, e so cosa si prova a rimanere delusi.
O forse perché partire e cambiare vita, girare il mondo, studiare all’estero sono tutte cose che necessitano di una certa tranquillità economica.
Lo so, è brutto ridurre sempre tutto ai soldi.
I miei amici forse non mi sopportano più (“come se noi non avessimo problemi economici”), ma non riesco a scrollarmi di dosso l’ansia che un giorno mi ritroverò completamente a secco con una famiglia da sfamare.
A volte non riesco ad addormentarmi; mi giro e mi rigiro nel letto immaginando i miei figli che un giorno mi odieranno se non potrò dare loro le opportunità che meritano perché non abbiamo abbastanza soldi.
Proprio non ce la faccio a decidere a cuor leggero.
Mi limito a guardare la gente che va e viene, gli amici in Giappone (mi manca il Giappone, sì), le foto dei conoscenti in Corea, in Grecia, in Madagascar… guardo gente che parte per l’anno studio all’estero con la stessa accorata nostalgia di una madre desiderando più coraggio.
E intanto resto qui, e mi stanco facendo miriadi di cose per non pensare – ma tutto esce inesorabilmente nei miei sogni a ricordarmi che sono un dannato essere umano e che non amo niente più della libertà e dell’assenza di vincoli.
Ma non si sa mai cosa ci riserba la vita, come diceva il grande Kobayashi Issa.
Eppure… eppure…

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