Natsume Sōseki,il cui vero nome era Shinnosuke Natsume, è il più grande autore giapponese dell’Era Meiji e – secondo molti critici – anche della letteratura giapponese in generale.
Non mi dilungherei sulla suo biografia se non fosse così fondamentale per capire l’importanza di ciò che scrisse.
Sōseki nacque a Tokyo nel 1867, ovvero alla fine di quegli
anni tumultuosi in cui l’Occidente forzò il Giappone ad aprire le sue frontiere
all’invasione fisica e culturale dell’Ovest industrializzato. Quando aveva un
anno, salì al trono l’imperatore Meiji e il fatto segnò per sempre il destino di
un Paese unico nella Storia.
Non sono qui per criticare fatti già avvenuti e ormai irreversibili, e fondamentalmente inevitabili, prima o poi.
Credo che la Restaurazione Meiji in realtà fu uno degli avvenimenti più stimolanti che la cultura giapponese abbia mai subito, e Sōseki ne è la prova concreta.
La seconda metà dell’Ottocento in Giappone fu caratterizzata da quella che io amo banalmente definire una “messa in discussione”; naturalmente fu molto di più, la rivoluzione politica e culturale di quell’epoca ebbe l’impatto potente e inaspettato di cento terremoti. Ma quello che mi piace puntualizzare è la risolutezza con cui tutti, dagli alti funzionari dello Stato pronti a sedersi in un Parlamento sullo stampo di quello inglese, fino ai giovani pronti a buttarsi a capofitto nello studio delle arti e delle lingue importate dall’Occidente, misero in discussione la propria cultura per inseguire il sogno di un Paese moderno e competitivo a livello mondiale.
Non sono qui per criticare fatti già avvenuti e ormai irreversibili, e fondamentalmente inevitabili, prima o poi.
Credo che la Restaurazione Meiji in realtà fu uno degli avvenimenti più stimolanti che la cultura giapponese abbia mai subito, e Sōseki ne è la prova concreta.
La seconda metà dell’Ottocento in Giappone fu caratterizzata da quella che io amo banalmente definire una “messa in discussione”; naturalmente fu molto di più, la rivoluzione politica e culturale di quell’epoca ebbe l’impatto potente e inaspettato di cento terremoti. Ma quello che mi piace puntualizzare è la risolutezza con cui tutti, dagli alti funzionari dello Stato pronti a sedersi in un Parlamento sullo stampo di quello inglese, fino ai giovani pronti a buttarsi a capofitto nello studio delle arti e delle lingue importate dall’Occidente, misero in discussione la propria cultura per inseguire il sogno di un Paese moderno e competitivo a livello mondiale.
Non è un caso che molti degli autori più apprezzati e famosi
dell’epoca si siano laureati alla facoltà di Letteratura Inglese di Tokyo – e fra
questi oltre Sōseki, voglio ricordare il maestro Akutagawa.
Credo che la grandezza, lo spessore e la profondità di
scrittori come loro sia da attribuire a questa precarietà fra il prima e il dopo,
la tradizione e l’innovazione, il passato e le tradizione che fanno parte di
ognuno di noi e che ci vengono strappati con forza da un’onda nuova,
misteriosa, sconosciuta.
Per l’appunto, la loro abilità fu nell’intuizione di andare a cogliere in mezzo a questa confusione e a questo sgomento il “cuore delle cose”.
Sōseki non abbracciò totalmente l’Occidente (neanche dopo i tre difficili anni trascorsi a Londra), né si schierò dalla parte dei reazionari conservatori della tradizione. Lui – come ho già detto – mise in discussione. L’una e l’altra, il fuori e il dentro, il passato e il futuro. Il suo lavoro letterario a mio avviso è il raffinato prodotto di una continua valutazione, di un osservare attento e di un soppesare i pro e i contro derivati dalla collisione di due mondi completamente diversi.
Per l’appunto, la loro abilità fu nell’intuizione di andare a cogliere in mezzo a questa confusione e a questo sgomento il “cuore delle cose”.
Sōseki non abbracciò totalmente l’Occidente (neanche dopo i tre difficili anni trascorsi a Londra), né si schierò dalla parte dei reazionari conservatori della tradizione. Lui – come ho già detto – mise in discussione. L’una e l’altra, il fuori e il dentro, il passato e il futuro. Il suo lavoro letterario a mio avviso è il raffinato prodotto di una continua valutazione, di un osservare attento e di un soppesare i pro e i contro derivati dalla collisione di due mondi completamente diversi.
È senza dubbio questo il motivo per cui dalle sue opere
traspare una serenità che va oltre la superficiale rassegnazione alla vita.
Certi passaggi, certe espressioni, suscitano quasi tenerezza per la spiazzante
onestà con cui l’autore descrive il cambiamento, poiché al contrario di quanto
potremmo aspettarci non è né totalmente positivo, né totalmente negativo. Le
pagine dei libri di Sōseki riportano tutto il trambusto di una Rivoluzione da
cento terremoti a una dimensione umana, offrendo l’unica chiave di lettura
appropriata per quell’avvenimento – ossia lo sguardo di chi l’ha vissuto sulla
propria pelle.
“Anima” (il titolo originale, Kokoro, è stato spesso
tradotto come “il cuore delle cose”) è a mio avviso un capolavoro senza tempo.
Scritto nel 1914, due anni dopo la morte dell’imperatore
Meiji, racchiude fra le sue pagine l’essenza degli animi di chi visse allora. L’anima,
il cuore delle cose di cui si parla, non si riferisce all’interiorità dei
personaggi, quanto a un sentimento collettivo dove le vicende personali di
tutti, se ridotte all’osso e scarnificate, sembrano recitare lo stesso
messaggio.
Non so se per Sōseki fu più facile arrivare a scavare nella
realtà dell’animo umano proprio per la particolarità dei tempi in cui visse, o
se fosse semplicemente un genio; il fatto è che “Anima”, che quest’anno compie
il suo centoduesimo anniversario, è un’opera capace di commuovere ancora.
Commuove perché il lettore, qualunque sia la sua nazionalità, la sua lingua, la sua astrazione sociale, chiunque sia insomma, sentirà di aver provato quegli stessi sentimenti che animano lo studente e il maestro.
Commuove perché il lettore, qualunque sia la sua nazionalità, la sua lingua, la sua astrazione sociale, chiunque sia insomma, sentirà di aver provato quegli stessi sentimenti che animano lo studente e il maestro.
La trama è relativamente semplice: un giovane studente
universitario conosce un uomo durante una vacanza al mare. Non sa per quale
motivo, ma inizia a provare verso di lui un forte rispetto venato anche dal
desiderio di ricevere da lui una sorta di approvazione; così inizia a chiamarlo
Maestro e diventa un assiduo frequentatore di casa sua.
Il Maestro è un uomo particolare: vive con la moglie e una
cameriera in una modesta casa piena di libri, non lavora e vive in modo del
tutto asociale. A volte pare infastidito dalla continua presenza dello
studente, altre semplicemente indifferente. In ogni caso non lascia trapelare
niente di sé e del suo passato se non per concedersi ogni tanto di pronunciare
qualche frase criptica e un po’ cinica a cui però non segue mai una
spiegazione. Egli afferma di essere felice con la moglie, ma i due sembrano
come separati da un muro, incapaci di rivelarsi ciò che di più profondo
pensano.
Il Maestro ha anche la strana abitudine di recarsi al cimitero
di Zoshigaya, una volta al mese, a visitare la tomba di un amico misterioso.
Per lo studente la figura del Maestro e del padre malato si
sovrappongono, quasi come facce della stessa medaglia. Entrambi incarnano una figura
maschile di riferimento, ma i sentimenti del giovane sono contrastanti: se per
il padre naturale, figlio di un contesto rurale e antiquato, prova quasi
irritazione e si sente in colpa per non colmarlo di tutto l’affetto che si
meriterebbe, verso il Maestro l’ammirazione, la curiosità e la ricerca dell’approvazione
si fanno di giorno in giorno più forti.
Lo studente sente che gran parte di ciò che lo affascina del
Maestro è il frutto del suo misterioso passato e lo prega di rivelarglielo.
Sarà solo attraverso una lunga lettera che il Maestro però
si libererà del fardello del suo passato e rivelerà allo studente le ragioni
per cui detesta il genere umano, vive senza il bisogno di lavorare, si reca
ogni mese al cimitero e il motivo del suo strano rapporto con la moglie.
Secondo il mio modesto parere, c’è un campanello d’allarme
che l’autore suona poco prima della conclusione del libro per avvertire il
lettore della portata universale del suo messaggio.
Ad un certo punto della narrazione, l’imperatore Meiji muore.
La notizia viene diffusa in tutto il Paese e ben presto trapela anche nel villaggio rurale dove vivono i genitori dello studente; il padre, che fino ad allora aveva resistito con tutte le sue forze alla malattia, peggiora improvvisamente. Nello stesso momento a Tokyo, il Maestro si sente in uguale misura attratto verso la morte.
Ecco come le due figure paterne dello studente, che non si sono mai viste e conosciute e che appartengono a due mondi totalmente diversi per ambiente, livello di cultura e astrazione sociale, subiscono lo stesso duro colpo.
Ad un certo punto della narrazione, l’imperatore Meiji muore.
La notizia viene diffusa in tutto il Paese e ben presto trapela anche nel villaggio rurale dove vivono i genitori dello studente; il padre, che fino ad allora aveva resistito con tutte le sue forze alla malattia, peggiora improvvisamente. Nello stesso momento a Tokyo, il Maestro si sente in uguale misura attratto verso la morte.
Ecco come le due figure paterne dello studente, che non si sono mai viste e conosciute e che appartengono a due mondi totalmente diversi per ambiente, livello di cultura e astrazione sociale, subiscono lo stesso duro colpo.
L’Anima di cui parla Sōseki è quella di una nazione in
simbiosi, scossa dalle stesse ansie e dalla stessa meraviglia, unita verso il
sogno dell’innovazione e della modernità e al tempo stesso smarrita e sola non
appena vengono a mancare i pochi punti fermi che le sono rimasti dentro un
mondo in continua evoluzione. Gli uomini dell’Era Meiji e Sōseki stesso erano
fondamentalmente esseri umani spaventati che si facevano forza aggrappati a dei
simboli – che fossero essi un imperatore, una bandiera, un inno.
L’Anima è quella cosa calda e molle racchiusa sotto decine
di strati di gusci che batte dentro ognuno nello stesso modo: ecco perché la
morte dell’imperatore segnò così profondamente il padre dello studente, il
Maestro… ma anche Sōseki e milioni di suoi contemporanei.
Il fil rouge del libro, in sintesi, è un viaggio
introspettivo dentro i cuori dei personaggi che a poco a poco si trasforma in
un’esplorazione di noi stessi, come a ribadire che siamo tutti diversi, ma che
in quanto esseri umani ci accomuna un’essenza e che non importa quanti gusci le
costruiamo intorno: è lei a dettare le regole nel faticoso incedere dell’esistenza.