14 aprile,
1935
Ieri una
nostra giovane connazionale è scomparsa nel villaggio indiano di Samay-Shahar.
La
fanciulla, che sosteneva di chiamarsi Margaret Ewitt, non è iscritta in nessun
registro anagrafico e non risulta essersi imbarcata su nessuna nave diretta in
India nell’ultimo anno. Mentre in Inghilterra le forze dell’ordine stanno
lavorando per rintracciare la sua famiglia, le autorità indiane stanno
indagando senza escludere nessuna pista.
Il
villaggio di Samay-Shahar, che si trova a nord-est di Jaipur, è da decenni meta
di giovani studenti borghesi per via del suo antico complesso di rovine, un
tempo sede del più grande tempio indù della regione. La giovane scomparsa
faceva parte di una comitiva di turisti europei che sono già stati interrogati
dalla polizia di Jaipur .
Il
trafiletto sulla copertina dell’Indian Times rimandava a pagina 4 per leggere
l’intero articolo.
“Signor
Winster, come puó ben notare la notizia si è rapidamente diffusa...”.
Thomas
Winster, ventiquattro anni, una laurea in filosofie orientali, si aggiustó
nervosamente gli occhiali sul naso dopo che, stando chino sul giornale, gli
erano leggermente calati.
Il caldo
umido e afoso, unito alla lampadina a incandescenza della sala interrogatori
puntata in viso, lo avevano portato a sudare; sentiva la camicia di lino
spiacevolmente appiccicata al torso, ma si era sentito troppo a disagio e non
aveva osato togliersi la giacca.
Osservava
il capitano Phradjar in ansia, chidendosi perché lo avesse fatto convocare a
quell’ora della sera e dove volesse arrivare mostrandogli quell’articolo di
giornale. Si domandava se il suo arricciarsi i baffi grigi con aria pensosa
indicasse uno stato d’animo particolarmente turbato... C’era forse da
preoccuparsi?
“Io non
voglio insinuare niente, signor Winster, ma lei è stato l’ultimo ad aver visto
la signorina Ewitt - ammeso che davvero si chiamasse cosí - e pertanto il
nostro unico sospettato. Tutti i vostri compagni di viaggio inoltre hanno detto
che eravate in rapporti relativamente buoni...”.
“Parlavamo
ogni tanto, tutto qui”, lo interruppe Thomas Winster allentando il colletto
della camicia ormai madido di sudore. Il ragazzo era troppo pavido e smidollato
per opporsi fermamente alla pesante accusa che gli veniva rivolta e si limitó a
ribattere all’insinuazione. Il capitano Phradjar non sembró neppure dargli
peso,comunque.
“Mi
racconti tutto quello che sa di Margaret Ewitt e poi mi ripeta per filo e per
segno, senza tralasciare neanhe un particolare, que che è successo ieri mattina”.
Thomas
Winster deglutí e congiunse le mani tremanti in grembo.
“D’accordo,
le diró tutto. Ma lei deve promettermi che non mi prenderà per pazzo”.
13 aprile,
1935
Quel
mattino la via principale di Samay-Shahar era trafficata come al solito. I
mercanti di frutta si facevano aiutare dalle mogli abbigliate in sarii
sgargianti e dai figlioletti a trascinare fino al mercato carretti straripanti di casse. Gli schiamazzi delle donne che sciacquavano i panni nel fiume
giungevano vivaci da dietro la fila di tettoie di legno e foglie che fungevano
da negozi - oltre che da abitazioni, alla bisogna.
Per
strada, facendosi largo fra i carretti e i baracchini, un gruppo di sei o sette
bambini arruffati e con i piedi sporchi di polvere rincorreva gridando una
scimmia con le zampe strette attorno ad un casco di banane; sebbene si
trattasse di una vera e propria caccia al ladro, i bambini sembravano
divertirsi parecchio, quasi stessero giocando ad acchiappino. Agitando le
braccia e i bastoni, schivando i mercanti, balzando sui muriccioli, levavano i
loro gridi di battaglia piú per se stessi che per spaventare la scimmia. Poi
furono inghiottiti dalla folla.
Due
contadini camminavano umilmente dietro una giovenca bianca con le zampe sporche
di fango e intonavano una cantilena: al loro passaggio le lavandaie, i mercanti
e le loro mogli, persino le anziane donne chine a spazzare il ciglio della
strada interrompevano per un attimo le loro faccende, si fermavano e si
toccavano il centro della fronte con l’attaccatura del pollice un paio di
volte.
“Signorina
Ewitt, dove sta andando tutta sola?”.
Il signor
Winster, che era un giovane borghese ben educato si preoccupó non appena notó
la giovane Ewitt imboccare la porta della hall. Fuori dalla finestra, la strada
appariva caotica e confusionaria e non era certamente il caso che una ragazza
cosí giovane se ne andasse a spasso tutta sola in un villaggio straniero e
barbaro nel cuore dell’India.
Il signor
Winster era di temperamento equilibrato e raramente perdeva la pazienza, ma la
noncuranza della signorina per il pericolo e la sua ingenua sprovvedutezza lo
infastidirono.
Le andó
incontro suo malgrado con fare amabile e tentó di dissuaderla. La giovane parve
ascoltare il suo consiglio inclinando lievemente il capo. La tesa del capello
di paglia bianco le adombró il viso pallido per un istante, il nastro di raso
color senape le scivoló sullo spallino dello spolverino a fiori.
“Venga, i
fratelli Holmes stanno leggendo ad alta voce nella sala da tè”, la invitò lui
con un gesto della mano.
Il signor
Winster si voltó convinto di essere seguito e si avvió verso le scale di legno;
dopo cinque passi, insospettito dall’insolito silenzio della giovane, si voltó
con l’intenzione di instaurare lui stesso una conversazione.
Ma la
signorina Ewitt non c’era; la porta girevole della hall dell’hotel girava
sonnacchiosa e al di lá delle vetrate, nella strada, fra i mercanti, i
carretti, le donne in sarii e i
bambini che giocavano a rincorrersi, non c’era traccia del suo spolverino a
fiori, né tantomeno del suo cappello bianco.
La signorina
Ewitt era stata fin dall’inizio una che amava fare di testa sua. All’inzio il
signor Winster l’aveva trovata tremendamente irritante: si sa bene che le donne
sono stupide e incoscienti e che la testardaggine le spinge solo a correre
inutili rischi. Poi peró il signor Winster aveva rivalutato l’attitudine della
signorina Ewitt; a volte gli era perfino parso che quella giovane, seppur debole
come tutte le donne, fosse molto più capace di lui. L’irritazione era stata
pian piano sostituita da un cupo senso di inferiorità; il fatto stesso di
sentirsi cosí nei confronti di una donna era per il signor Winster causa di
profondo imbarazzo.
Eppure,
osservando la signorina Ewitt prendere con risolutezza decisioni dalla logica
spiazzante o sentendole affermare cose particolarmente profonde e intelligenti
senza la minima timidezza o esitazione, si sentiva pieno di una cieca
ammirazione.
Da allora
aveva iniziato a rivolgersi alla signorina Ewitt con un rispetto e andava oltre
la semplice cavalleria.
Tutavia, intorno
a lei permaneva un alone di mistero che, se da una parte la rendeva
maliziosamente affascinante, dall’altra faceva quasi paura.
Una volta, ad esempio, il signor Winster si permise di chiederle l’età: dimostrava poco più di diciotto anni eppure si comportava con la compostezza di un’adulta
Una volta, ad esempio, il signor Winster si permise di chiederle l’età: dimostrava poco più di diciotto anni eppure si comportava con la compostezza di un’adulta
La
signorina Ewitt aveva risposto con un sorriso malizioso : “Non tengo più il
conto della mia età da almeno vent’anni”. Interpretando la risposta come una
bizzarra battuta, il signor Winster aveva riso. Ma osservando lo sguardo
profondo della signorina Ewitt e il suo sorriso affabile, la risata gli era
morta sulle labbra. Il volto pallido e senza tempo di lei era stato percorso -
anche se solo per un millesimo di secondo - da un ghigno divertito.
Il gruppo
di studenti aveva percorso la costa e da una settimana si era addentrato nella
regione di Jaipur intenzionato a godersi un'avventura nella giungla - certo,
con la moderazione che si addiceva a dei giovani borghesi occidentali.
Quando la
comitiva si riuniva, poco dopo i pasti, c’era sempre qualcuno che leggeva un
libro ad alta voce o che intavolava conversazioni a sfondo filosofico. Si
parlava anche d’attualità, talvolta, ma non molto di politica.
La
signorina Ewitt in quei momenti sedeva con tutti, ma raramente apriva bocca.
Distendeva il volto, ascoltava con attenzione con un sorriso misterioso ed era
chiaro che pensava qualcosa che peró non aveva mai l’ardire di pronunciare ad
alta voce.
Il signor
Winster la osservava con la coda dell’occhio sperando di cogliere in lei una
parvenza di umanità che peró non sembrava decidersi ad affiorare.
Nessuno comunque trovava sgradevole
o bizzarra la sua presenza, e d’altro canto neanche il signor Winster
all’inizio si era minimamente insospettito.Una sera, però, mentre si trovavano
sul ponte di un battello che risaliva il fiume, aveva notato che la signorina
Ewitt si era allontanata dal gruppo in silenzio. Non sapeva bene perché decise
di seguirla – o meglio – lo sapeva, ma non l’avrebbe mai ammesso davanti al
capitano Phradjar.
Aveva trovato la signorina voltata di spalle, appoggiata al parapetto del
battello con il naso rivolto verso il cielo. La brezza del fiume le
scompigliava i ciuffi ribelli scappati dallo chignon.
Fu una visione strana, una di quelle dove un particolare non torna.
Il signor Winster trattenne il fiato e si acquattò contro il muro delle cabine.Sì, c’era qualcosa di strano… i guanti – la signorina Ewitt non li portava. Era un fatto rarissimo se non unico… nella comitiva quasi nessuno aveva mai visto le sue mani. La signorina sosteneva di non togliere mai i guanti a causa di una grave ustione che da piccola le aveva deformato le dita, ma ora, a guardarle sotto la luce tremolante che filtrava attraverso gli oblò del ristorante di bordo, le mani della signorina Ewitt apparivano bianche e prive di imperfezioni.Tenevano un piccolo libro aperto più o meno a metà, ma la ragazza non accennava a chinare il capo per leggere. Che fosse un libro di preghiere?, si domandò ingenuamente il signor Winster.D’un tratto il vento si alzò, arruffando ancor di più i capelli della signorina Ewitt e increspandole il colletto di sangallo… stranamente né le pagine del libretto né l’orlo della sua gonna si mossero.Fu allora che il signor Winster giunse all’assurda, insensata conclusione che il vento doveva per forza venire dal libro.
Fu una visione strana, una di quelle dove un particolare non torna.
Il signor Winster trattenne il fiato e si acquattò contro il muro delle cabine.Sì, c’era qualcosa di strano… i guanti – la signorina Ewitt non li portava. Era un fatto rarissimo se non unico… nella comitiva quasi nessuno aveva mai visto le sue mani. La signorina sosteneva di non togliere mai i guanti a causa di una grave ustione che da piccola le aveva deformato le dita, ma ora, a guardarle sotto la luce tremolante che filtrava attraverso gli oblò del ristorante di bordo, le mani della signorina Ewitt apparivano bianche e prive di imperfezioni.Tenevano un piccolo libro aperto più o meno a metà, ma la ragazza non accennava a chinare il capo per leggere. Che fosse un libro di preghiere?, si domandò ingenuamente il signor Winster.D’un tratto il vento si alzò, arruffando ancor di più i capelli della signorina Ewitt e increspandole il colletto di sangallo… stranamente né le pagine del libretto né l’orlo della sua gonna si mossero.Fu allora che il signor Winster giunse all’assurda, insensata conclusione che il vento doveva per forza venire dal libro.
Da quell’episodio in poi, il signor
Winster rabbrividiva ogni volta che il suo sguardo si soffermava sui guanti
della signorina Ewitt. Aveva scoperto, intravedendolo di tanto in tanto quando
le apriva la sua borsetta di raso azzurro pallido, che il libretto misterioso
era un taccuino con la copertina rigida e un coniglio d’argento raffigurato sulla
costola.
Un'altra volta, durante un’uscita al mercato di Dharmakhar, la signorina si fermò sotto una tettoia di fogli di banano dove un’anziana donna dal volto rugoso praticava massaggi con olii profumati.
Il signor Winster si preoccupò che distaccandosi dalla comitiva le potesse succedere qualcosa e perciò la accompagnò.
La signorina Ewitt si sfilò le scarpe in segno di rispetto, salì sulla pedana di legno polverosa e salutò la vecchia congiungendo le mani.
L’anziana donna aveva alzato il volto dalla schiena del suo cliente e aveva corrugato le sopracciglia; i solchi sul suo volto erano centuplicati.
“Qui non serviamo stranieri”.
“Non importa, sono qui per un altro genere di servizio”, aveva risposto la signorina Ewitt, che si guardava intorno curiosa, come se l’affermazione della vecchia non l’avesse minimamente turbata.
“Non ti dirò quello che vuoi sapere”, aveva biascicato l’anziana in un inglese stentato.
“Ma io so pagare bene questo genere di informazioni”. Il tono della signorina Ewitt era diventato improvvisamente risoluto.
Il signor Winster era rimasto spiazzato dallo scambio di battute delle due. Il senso del discorso rimaneva del tutto oscuro, ma una cosa era evidente: le due sconosciute sapevano esattamente di cosa stavano parlando. Il giovane si sentì attanagliare lo stomaco dall’ansia e tornò a provare quel forte disagio di trovarsi davanti a un essere misterioso e inumano. Si chiese se forse sarebbe stato meglio che non l’avesse mai seguita. Eppure la signorina non pareva infastidita.
L’uomo disteso sulla pedana gemette; la massaggiatrice aveva premuto più forte del dovuto.
“D’accordo, ho capito. Stasera, lungo il Ruscello delle Virtù. Portane tre, non uno di meno”, aveva borbottato la vecchia senza più alzare lo sguardo.
Un'altra volta, durante un’uscita al mercato di Dharmakhar, la signorina si fermò sotto una tettoia di fogli di banano dove un’anziana donna dal volto rugoso praticava massaggi con olii profumati.
Il signor Winster si preoccupò che distaccandosi dalla comitiva le potesse succedere qualcosa e perciò la accompagnò.
La signorina Ewitt si sfilò le scarpe in segno di rispetto, salì sulla pedana di legno polverosa e salutò la vecchia congiungendo le mani.
L’anziana donna aveva alzato il volto dalla schiena del suo cliente e aveva corrugato le sopracciglia; i solchi sul suo volto erano centuplicati.
“Qui non serviamo stranieri”.
“Non importa, sono qui per un altro genere di servizio”, aveva risposto la signorina Ewitt, che si guardava intorno curiosa, come se l’affermazione della vecchia non l’avesse minimamente turbata.
“Non ti dirò quello che vuoi sapere”, aveva biascicato l’anziana in un inglese stentato.
“Ma io so pagare bene questo genere di informazioni”. Il tono della signorina Ewitt era diventato improvvisamente risoluto.
Il signor Winster era rimasto spiazzato dallo scambio di battute delle due. Il senso del discorso rimaneva del tutto oscuro, ma una cosa era evidente: le due sconosciute sapevano esattamente di cosa stavano parlando. Il giovane si sentì attanagliare lo stomaco dall’ansia e tornò a provare quel forte disagio di trovarsi davanti a un essere misterioso e inumano. Si chiese se forse sarebbe stato meglio che non l’avesse mai seguita. Eppure la signorina non pareva infastidita.
L’uomo disteso sulla pedana gemette; la massaggiatrice aveva premuto più forte del dovuto.
“D’accordo, ho capito. Stasera, lungo il Ruscello delle Virtù. Portane tre, non uno di meno”, aveva borbottato la vecchia senza più alzare lo sguardo.
“Non ho detto questo. Anzi, sono piuttosto sicuro che le due non si conoscessero affatto. Dico solo che si sono intese al primo sguardo, come se… come se si leggessero nel pensiero!”.
“Ma non diciamo sciocchezze! Nessun essere umano è in grado di fare una cosa simile…”, aveva sbottato il capitano. Il signor Winster aveva gemuto e si era rannicchiato su se stesso, intimorito dall’accusa celata che gli aveva rivolto il poliziotto.
“Le sto dicendo la verità. Questo è ciò che ho visto e ciò che ho pensato in quel momento… E adesso mi lasci finire di raccontare”, balbettò lucidandosi le lenti degli occhiali con un angolo della camicia giacca sgualcita.
“Vede, capitano, io quella sera commisi un grosso errore a seguire la signorina Ewitt. Ma d’altronde, come potevo immaginare cosa sarebbe successo?”, farfugliò il giovane Winster passandosi nervosamente le mani fra i capelli. Lo sguardo inquieto assomigliava a quello di chi, dopo aver visto la morte in faccia, inizia a farsi tentare dalla follia.