Scivolo per le strade al ritmo frettoloso della mia ansia e catturo frammenti dei miei capelli, riflessi nelle vetrine. Sono rossi spenti, come una corona d'Autunno e mi incorniciano la pelle, bianca come un foglio.
Non c'è da sorprendersi se la gente si arrabbia, quando non riesce a scrivermi addosso.
Lascio che siano certi muri sbrecciati a parlare per me di resilienza, pazienza e sì, anche di disobbedienza. Perché lo faccio apposta, io, a essere me.
In cerca di un segnalibro improvvisato, tiro fuori un biglietto verde sbiadito dalla cover del telefono: è datato agosto 2017, è l'ingresso di una mostra, a Roma.
Nella memoria riappare dolorosamente la figura di mia sorella, in piedi di schiena contro il rosa sgargiante di una tela di Botero, il suo profilo di bambina che sta per crescere lontana da me.
E poi alle labbra riaffiora anche un nome.
Il nome di qualcuno che non è più nessuno, ormai.
Castani.
I suoi occhi erano castani.
Li prendo e li piego dentro a quel biglietto sbiadito, che inserisco fra le pagine di un libro qualsiasi, fingendo distrazione. Poi li infilo in borsa, insieme a cianfrusaglie e frammenti delle persone che faticosamente mi porto dietro.
Me li immagino tutti come fiori, quelli che non ci sono più; fiori bellissimi e colorati come tele di pittori colombiani: i loro petali non sbocciano mai dove posso vederli.
Questo racconto si ispira alla challenge "colori" del gruppo EsseCìEffe - Scrittura Creativa Firenze.
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia un commento e fammi sapere se il post ti è piaciuto! :)