Dopo aver
dischiuso le labbra sottili, il ragazzo lupo tracciò sulla terra umida un
cerchio: lo scavò con le lunghe dita affusolate e la terra gli sporcò le unghie
lisce.
«Ecco,
questo è il centro dell’Universo», sentenziò senza staccare i sottili occhi
neri dal solco che aveva appena disegnato.
La fabbricante
di sogni distolse lo sguardo e si morse le labbra, sentendo gli occhi riempirsi
di lacrime.
«Sei crudele»,
mormorò. Alle loro spalle, la catene montuose si distendevano ricoperte dal
verde degli alberi. Al limitare del bosco crescevano radi dei cespugli di
ginestre.
Il ragazzo
lupo piegò gli angoli della bocca, rattristato: anche lei sapeva che non era
colpa sua. Se avesse potuto scegliere, il ragazzo lupo non le avrebbe mai fatto
del male.
La
fabbricante di sogni tornò spesso al centro dell’Universo. Anche quando la
pioggia autunnale l’aveva ormai cancellato e l’erba primaverile vi era
cresciuta sopra, in qualche modo ritrovava sempre la strada.
Solo il
ragazzo lupo non c’era. Qualcuno diceva che vagasse in foreste lontane alla ricerca
della cura di tutti i mali, per altri era addirittura morto per amore.
L’unica cosa
certa è che solo lui poteva cancellare il centro dell’Universo e liberare
finalmente la fabbricante di sogni dal suo tormento: lei non poteva non tornare
su quel luogo. Neanche se si fosse incatenata ai poli opposti della terra
sarebbe riuscita a ignorare il richiamo.
Passarono
gli anni, e al centro dell’Universo crebbe un alto pino rosso: la fabbricante
di sogni soleva arrampicarcisi, sbucciandosi le piante dei piedi, per sedersi
su un ramo. Allora, mordendo una pesca bianca, guardava la sua torre ricoperta
d’edera, in lontananza, e non riusciva neanche più a desiderare che il ragazzo
lupo venisse a cancellare le tracce del solco scavato tanti anni prima. L’odore
della corteccia dell’albero era lo stesso che emanava la sua pelle al sole.
Andare al
centro dell’Universo era l’unico modo in cui poteva amarlo – non perché lui
fosse lontano, o forse addirittura morto: se anche il ragazzo lupo fosse
restato, lei non sarebbe stata in grado di renderlo felice. Ma per qualche
ragione, rimanendo fedele a quei rami densi di resina, a quegli aghi, a quelle
radici rossastre, ferendosi i piedi su quella dura corteccia, sentiva di dare
la più grande prova d’amore di cui sarebbe mai stata capace.
Appollaiata
sul suo ramo, le gambe bianche penzoloni, passava serate intere ad appuntare
matite o a intessere reti di stelle cantando una vecchia canzone che faceva:
Corri, corri, cacciatore di libellule
fin dove ti sarai spinto oggi?
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia un commento e fammi sapere se il post ti è piaciuto! :)